E tre. Dopo la Servizi Fiduciari del gruppo Sicuritalia e la Mondialpol, che per uscire dall’amministrazione giudiziaria ha dovuto aumentare gli stipendi e li porterà a un +30% entro il 2026, ora è la Cosmopol a finire commissariata dalla magistratura milanese per pratiche di sfruttamento lavorativo e buste paghe “sotto la soglia di povertà”. Un intervento che va a colpire un’altra big del settore della sicurezza e vigilanza privata, visto che i conti della società di Avellino raccontano di 132 milioni di euro di fatturato, 6,5 milioni di utili all’anno – triplicati nell’ultimo quinquennio – e 3.855 dipendenti nel 2022.

A scorrere le carte dell’ennesima inchiesta della Guardia di finanza e del pm della Dda milanese Paolo Storari, si ritrovano le stesse accuse fatte alle altre società finite sotto indagine. Nelle 17 pagine del decreto che dovrà essere convalidato dal gip, oltre alle dichiarazioni di dipendenti che raccontano di una paga oraria di poco più di 5 euro lordi, e quindi di stipendi da 650 euro netti che necessitano di decine e decine di ore di straordinario per superare i 1.000 euro mensili, ci sono anche le minacce e le intimidazioni subite dai lavoratori.

“Vista la carenza di personale – ha spiegato ad esempio una lavoratrice ai finanzieri – sono stata costretta a raddoppiare i turni facendo turni da 12 ore continuative, dai 10 ai 15 giorni di fila, senza mai fare un riposo”. Fra i 38 addetti e addette di Cosmopol ascoltate dagli investigatori c’è anche chi ha raccontato delle pratiche di mobbing nei confronti delle lavoratrici madri, e delle turnazioni punitive nei confronti di chi si prendeva la malattia o rifiutava un turno.

Nel settore, dopo ben sette anni di mobilitazioni e scioperi, a inizio giugno c’è stato il rinnovo contrattuale firmato da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs da una parte, e le associazioni datoriali Anivip, Assiv, Univ, Legacoop Produzione e Servizi, Agci Servizi e Confcooperative Lavoro e Servizi dall’altra. Con un aumento delle retribuzioni di 140 euro per un contratto comunque inferiore ai 7 euro lordi orari, povero come quello delle pulizie-multiservizi.

Sempre troppo secondo Cosmopol Spa, che aveva deciso di abbandonare il contratto nazionale aderendo ad Ani-Sicurezza di Confimpresa, per pagare ancora meno i propri addetti con un contratto pirata da 5,3 euro orari e retribuzioni lorde mensili da 930 euro, appunto 650 euro netti. Un contratto con una retribuzione inferiore alla soglia di povertà assoluta fissata dall’Istat, fatto che ha convinto la magistratura a intervenire sia sul piano giuslavoristico che su quello penale.

Emanuele Ferretti, sindacalista della Filcams Cgil con delega alla vigilanza privata e ai servizi fiduciari, è chiaro: “La concorrenza selvaggia tra imprese non sul valore aggiunto ma sul costo del lavoro ci porta al diritto penale su una questione contrattuale, come mai era accaduto. Si è arrivati a questo perché l’ordinamento non ha gli anticorpi per far sì che si aumentino i salari e si rinnovino i contratti indicizzandoli ai tassi di inflazione, portando a un livello di sfruttamento inaccettabile”.

“Anche le committenze sono responsabili – aggiunge Ferretti – nel momento in cui affidano i lavori e gli appalti con criteri che non prevedono l’applicazione di contratti rappresentativi o il mantenimento di determinate retribuzioni, facendo sì chi chi si aggiudica gli appalti tagli sul costo dei lavoratori”. Committenze che nel caso di Securpol hanno nomi altisonanti come Poste italiane, Enel, Intesa Sanpaolo, diverse Asl, Leonardo, Fiera Milano e anche la Rai. “Lo Stato gestisce circa il 60% degli appalti di vigilanza – tira le somme il sindacalista Filcams – e beneficia negli appalti di quei salari da fame quando invece dovrebbe mettere dei soldi”. Improbabile, visto cosa pensa il governo Meloni del salario minimo che nei servizi (e non solo) sarebbe decisivo.