Confesso che la lettura del durissimo comunicato dell’Eurogruppo della sera del 20. era stata sconfortante. La sostituzione della Trojka con le “Istituzioni” non sembrava cruciale; né che a fare le proposte di riforme dovesse essere la Grecia invece dell’Eurogruppo; anche perché le conseguenze sarebbero state valutate secondo i principi “europei” su ciò che fosse o no ‘adeguato’ per la stabilità finanziaria, o per l’equilibrio fiscale greco. Ma la lettera del 23 suonava tutt’altra musica.

È vero, non vi era traccia delle dichiarazioni, molto dure e decise, pre- e post-elettorali. Ma non vi era neppure traccia di quella resa che le cronache servili della nostra stampa aveva annunciato trionfalmente.

La ritirata sulle privatizzazioni già decise era compensata con una riserva su quelle da decidere, sul mercato del lavoro veniva chiamata in causa l’Ilo, certo non compiacente con la linea europea, e l’aver fatto passare le misure anti-austerità come misure “umanitarie” ne rendeva più difficile l’attacco; per di più di dimensioni tutte nel vago, lasciando aperta la possibilità dell’utilizzo del surplus di bilancio greco, in presenza di un benign neglect della Bce.

E quindi lo stupore della rapida approvazione dell’Eurogruppo il 24; senza prolungare il contenzioso fino alla vigilia della scadenza del programma di aiuto, il 28. La Germania aveva rifiutato la lettera greca dell’11 perché vaga. Ma delle dichiarazione esplicite richieste dalla Germania non c’era traccia nella lettera del 23. Ciò era confermato poi dalla Lagarde e da Draghi: buon punto di partenza per trattative di qui ad aprile. Mentre la prima reazione di Schäuble era tutt’altro che accomodante e invocava il fucile puntato nella successiva trattativa.

Perché alla fin fine la sostituzione della Trojka con le Istituzioni ha un senso. Un conto è avere a che fare con un gruppo di funzionari il cui mandato è già stato deciso. Diverso invece confrontarsi con tre istituzioni: una politica, l’Eurogruppo, e due “tecniche”, Fmi e Bce che, infatti, si sono adeguate, con le dovute riserve, alla decisione politica. Un conto è che la decisione sia presa in Europa, e comunicata alla Grecia, un conto è che venga presa tra tutti i paesi, insieme alla Grecia. E infatti, per la prima volta dall’inizio della linea dell’austerità si sono aperte incrinature tra vari paesi e la Germania, e tra l’Spd (muta come una tomba finora) e la Merkel. Incrinature; ma si sono aperte.

Inoltre anche il rovesciamento dell’onere della proposta non è irrilevante. Significa il rovesciamento dell’onere del rifiuto. Un conto è se l’Eurogruppo fa proposte che la Grecia deve rifiutare. Hai un bel aver detto fino a ieri che sei deciso ad andare al default. Adesso lo devi decidere tu. Sapendo che apri una crisi verticale per l’euro e l’Europa, ma anche che fai rischiare al tuo paese un ulteriore peggioramento – per l’immediato; il miglioramento, poi – di una situazione già disastrata.

Certo, Germania e accoliti dicono che default e Grexit si possono fare: #europastaiserena; con l’assenso di economisti tedeschi e non, anche a sinistra. Ci possiamo aspettare che altri governi europei accettino leggermente la pericolosa ostinazione tedesca? O piuttosto che cerchino di rinviare? Ma rinviare significa tempo per il governo ellenico. La Grecia ha bisogno di tempo. E un rinvio della decisione glie lo può dare.

La partita è durissima, Tsipras non l’ha vinta, ma non ha perso questa battaglia, e non ancora la partita; quantomeno fino ad aprile. Questo è quello che conta, adesso.

E chi pretende da Tsipras maggior sincerità dovrebbe essere più chiaro. Ad esempio il politologo Statis Kouvelathis scrive: «La strategia negoziale ha fallito…Syriza… deve compiere lo sforzo di avviare un’analisi approfondita della situazione». Ma c’è una e una sola conseguenza del rifiuto dell’accordo: default subito. E quindi, chi pensa che l’accordo sia una resa, definitiva ancorché mascherata, deve dire al popolo greco: non ci resta altro che denunciare l’accordo e affrontare il default, qui e adesso. E va detto in greco, non in sinistrese.