Con la oramai solita parata di camionette e agenti in tenuta antisommossa, ieri a Roma è calato il sipario sull’esperienza del Cinema America Occupato. La sala di via Natale del Grande, nel cuore di Trastevere, opera negli anni ’50 dell’architetto Angelo Di Castro, era stata riaperta il 14 novembre del 2012 dopo 14 anni di chiusura. Collettivi di studenti e movimenti erano entrati per dare vita a una tre giorni di discussione sui beni comuni e la città. Poi un gruppo di ragazzi, per lo più giovanissimi, ha deciso di non uscire più e di riaprire il cinema per impedire che venisse abbattuto per realizzare appartamenti di lusso.
La polizia entra forzando la porta al mattino presto con in mano un ordine di sequestro, nel giro di poche ore lì dove c’erano manifesti e murales ci sono solo inferriate e muri per impedire che venga rioccupato. Fuori un capannello di curiosi e gli attivisti che trattano per rientrare in possesso dei materiali rimasti all’interno, ma anche tanti cittadini che a quei ragazzi si erano affezionati e ai quali piaceva che tra i locali della movida ci fosse anche un luogo per la cultura. Dentro l’edificio solo uno degli occupanti, Valerio Carocci, trattenuto poi per diverse ore in commissariato per l’identificazione.

«Io preferisco un cinema e la cultura ad altre cose, questo è un luogo storico per il quartiere che finalmente era stato riattivato – spiega una signora – è un errore che sia finita così». «In quel cinema ho tanti ricordi di quando ero ragazzino, è stato bello poterlo rivivere, poi è stata una boccata d’aria – racconta un altro abitante del rione – Qua eravamo tutti pronti a trattare con le istituzioni, l’importante era che rimanesse un cinema, è venuto pure Franceschini a farsi le foto e a fare promesse, ma poi è arrivata la polizia». Si perché sembrava che l’epilogo dell’occupazione dell’America potesse essere positivo: da una parte l’impegno del ministro della Cultura Dario Franceschini, ribadito alla Mostra del Cinema di Venezia solo alcuni giorni fa, ad apporre il vincolo di «cinema storico» allo stabile evitando così operazioni immobiliari («La prima battaglia i ragazzi del #cinemamerica l’hanno vinta. Gli atti per il vincolo di destinazione sono già avviati e quindi già operativi», ha poi twittato ieri sera il ministro); dall’altra la disponibilità del comitato degli occupanti, ribadita ieri, a continuare le attività altrove, una volta avuta la certezza che l’America sarebbe rimasto uno spazio culturale. Poi l’intervento della proprietà, la Srl Progetto Uno, che ricorda a Questura e Prefettura l’autorizzazione allo sgombero firmata dal gip Orlando Villoni e procede per omissione di atti d’ufficio.

La notizia trapela nei giorni scorsi sulle pagine romane di Repubblica. Gli occupanti, forti degli impegni istituzionali, si appellano al buonsenso per evitare precipitazioni. Ma il prefetto non sente ragioni e ieri mattina interviene la forza pubblica, che a Roma sembra avere sempre l’ultima parola sulla politica.
O forse no. Perché l’esperienza della sala di via Natale del Grande ha appassionato tanti, dagli abitanti del quartiere (le associazioni dei residenti si sono subito mobilitate), compresi i più piccoli (molte le iniziative per i bambini dentro e fuori il cinema) ai premi Oscar. «I ragazzi sono prontissimi a farsi da parte e non rivendicano nulla, purché si mantenga la vera destinazione d’uso di quel posto», dice Paolo Sorrentino. «Spero che l’America resti spazio di cultura per tutto il quartiere», interviene anche Toni Servillo.

In serata, poi, si svolge una partecipatissima assemblea a due passi dal cinema, in piazza San Cosimato. Ci sono anche Elio Germano, Paolo Virzì, Daniele Vicari, Francesco Bruni. Non può esserci ma aderisce a distanza Valerio Mastandrea. E si fa avanti una proposta: la sala venga acquisita da un cartello di addetti ai lavori, giovani e cittadini e restituita alla fruizione comune. «E’ il mio sogno da sempre – dice Virzì – strappare biglietti».