Da cacciatori a calciatori, facciamo tutti parte della tribù del calcio. Il passo è stato lungo e su scala planetaria, perché se continuiamo a gonfiare i palloni, a guardare le loro traiettorie, e oltre un miliardo di persone sono incollate davanti al teleschermo durante la finale dei Mondiali di calcio, un motivo ci sarà. Negli anni ‘80 del secolo scorso, l’antropologo inglese Desmond Morris, partendo dal comportamento violento degli hooligans e delle tifoserie di calcio di altri paesi, mise a confronto le ritualità del calcio con quelle tribali. Analizzò il passaggio dai riti sanguinari della caccia a quelli meno violenti che si verificano dentro il rettangolo verde per la caccia alla palla, ma ugualmente in grado di eccitare il livello emotivo ancestrale e gli istinti primordiali dei tifosi.
Con un testo riadattato rispetto all’opera originale di Morris, Gianfelice Facchetti, figlio del grande capitano dell’Inter e della nazionale italiana a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, porta in scena in prima nazionale a Milano La tribù del calcio dal 14 al 19 gennaio (www.campoteatrale.it). L’intera rappresentazione teatrale è accompagnata dalla Banda del Fuorigioco.

«Per nascita mi sono trovato dentro la tribù del calcio. Il primo mondiale l’ho ascoltato quando ero nella pancia di mia madre nel 1974, mentre papà giocava in Germania con la Nazionale. Appena fuori, quando ho imparato a camminare ho toccato la palla con le mani e poi ho cominciato a giocare in porta nelle giovanili dell’Atalanta. Spesso quando non ero titolare, guardavo la partita dalla panchina e mi chiedevo dove fossi capitato: nella tribù del calcio» racconta divertito Gianfelice Facchetti, che con grande coraggio ha deciso di portare in scena non le glorie paterne nerazzurre della grande Inter di Herrera, ma il calcio e la sua tribalità, che si rinnova in ogni rettangolo verde e sugli spalti del pianeta.

Nello spettacolo di Facchetti si nominano alcuni protagonisti della Tribù del calcio: il brasiliano Pelè, per tanti il calciatore più forte di tutti i tempi, l’uruguayano Ghiggia, che realizzò il gol del «Maracanazo» e fece piombare il Brasile nella disperazione ai mondiali del ‘50. A seguito della sconfitta della nazionale carioca, in Brasile furono dichiarati tre giorni di lutto nazionale. L’uruguayano, fu anche il primo calciatore che Giacinto Facchetti affrontò il giorno del suo esordio nell’Inter, quando Ghiggia giocava nella Roma.
Nella Tribù del calcio allestita da Gianfelice Facchetti, figura anche Denise Bergamini, un calciatore del Cosenza, che amava la vita e nel 1989 misteriosamente fu trovato morto sotto un camion sulla statale cosentina, ma la recente riapertura dell’inchiesta dice altro, cioè che fu «suicidato» forse dalla malavita organizzata, per non avere rispettato richieste di partite accomodate sulle quali erano state puntate ingenti somme.
Accanto ai grandi, nella tribù del calcio, Gianfelice Facchetti mette anche i minori.