Ne consumiamo tanta e ne disperdiamo troppa. Dall’acqua dipendono la vita e gli equilibri sulla Terra, ma solo in questa fase di siccità estrema ci accorgiamo della straordinaria importanza di un bene primario e comune. Perché se dovessimo scattare una fotografia al sistema idrico italiano, non sarebbe certo virtuosa. Nel 2020, secondo i più recenti dati Istat, sono andati persi 41 metri cubi di acqua potabile al giorno per ogni chilometro di rete nei capoluoghi di provincia o città metropolitana (0,9 miliardi di metri cubi in un anno sui 2,4 miliardi totali), il 36,2% dell’acqua per uso civile immessa in rete, in leggero calo rispetto al 37,3% del 2018. Si tratta di «un volume cospicuo che – specifica l’Istat – riuscirebbe a soddisfare le esigenze idriche di circa 10 milioni di persone».

LE PERDITE sono da attribuire soprattutto alla vetustà delle infrastrutture e, in minor parte, ad errori di misura o ad allacci abusivi. Le maggiori criticità sono al Sud e nelle isole: male Palermo, Cagliari e Napoli. Tra i capoluoghi di più piccola dimensione bocciati Chieti (maglia nera con perdite pari al 71,7%), Latina, Belluno, Frosinone e Siracusa. Tra le città più virtuose, invece, Macerata, Pavia, Como, Biella, Milano, Livorno e Pordenone.

L’ITALIA CON 9,2 MILIARDI DI METRI cubi (Istat, 2018) è in testa ai Paesi dell’Unione europea per prelievo d’acqua (l’84,8% viene prelevato da acque sotterranee, che sono la nostra risorsa più preziosa). Ed è seconda, dopo la Grecia, in termini pro capite. L’uso civile è solo il 18% dei circa 26 miliardi di metri cubi di acqua all’anno consumati (dati Ispra): il 55%, è legato agli usi agricoli, mentre il 27% a quelli industriali. L’Oms ci ritiene un Paese con un livello di stress idrico medio-alto, considerando che utilizziamo tra il 30 e il 35% delle risorse idriche rinnovabili. Tutti elementi che, visti anche gli effetti del cambiamento climatico, non possono non invocare un cambio di paradigma.

LEGAMBIENTE DEDICA ANNUALMENTE dossier all’acqua: alla gestione della risorsa idrica (2021) e alle acque sotterranee (2022). «La siccità e la conseguente emergenza idrica sono fenomeni – sottolinea Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – con cui dobbiamo imparare a convivere e, per questo, dobbiamo gestire in maniera sostenibile i prelievi (civili, agricoli, industriali), efficientando la rete e riducendo i consumi. Mi domando che cosa si sia fatto in questi mesi per evitare una crisi acuta come quella attuale? Si parla solo di come possiamo avere più acqua a disposizione, tipo con i grandi invasi. Ma non ci serve nuovo cemento, bisogna cambiare il modello. L’agricoltura è abituata all’irrigazione a cannone, esistono invece tecniche più puntuali e capillari. L’industria dovrebbe fare proprio un approccio circolare all’uso dell’acqua. Ed è ancora alto il pregiudizio dei cittadini nei confronti dell’acqua del rubinetto, che è di qualità».

OLTRE A INTERVENIRE AL PIU’ PRESTO sulle perdite, è necessario completare e riqualificare la rete fognaria. Questo cronico ritardo è, infatti, costato all’Italia multe salate, infrazioni e anche una condanna da parte della Corte Ue sulle inadempienze nella depurazione. Le maggiori irregolarità, riporta il dossier di Legambiente, si registrano nel Mezzogiorno, in Calabria, che presenta l’89% degli agglomerati regionali in stato di infrazione, in Campania (con il 77%) e la Sicilia (il 75%). In base ai dati Istat, sono 605 mila i residenti nei comuni capoluogo di regione e provincia non collegati al servizio pubblico di depurazione.

SU TUTTO il sistema servirebbero investimenti strutturali e urgenti. I fondi del Pnrr (4,38 miliardi: 900 milioni di euro per gli acquedotti e la digitalizzazione delle reti; 600 milioni per fognature e depuratori; 2,36 miliardi per infrastrutture idriche di approvvigionamento, tipo grandi invasi; 520 milioni per l’utilizzo in agricoltura) non sono sufficienti, se si pensa che la ricognizione di Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, prevede 10 miliardi.

UN ULTERIORE ASPETTO CHE MINACCIA la disponibilità di acqua è – denuncia Legambiente – l’inquinamento delle falde, dovuto a scarichi o sversamenti che raggiungono le acque sotterranee. «Sono per natura rinnovabili e di buona qualità, ma hanno tempi di ricarica molto lunghi e risultano essere sempre di più sotto pressione a causa delle attività antropiche». Quattro vertenze dell’associazione ambientalista testimoniano i pericoli: la contaminazione da Pfas (sostanze perfluoro alchiliche riconosciute come interferenti endocrini) nelle acque di diversi territori del Veneto, dove le concentrazioni più elevate di contaminanti sono riferibili al depuratore di Trissino e, in particolare, alla società Miteni, contro la quale si è arrivati finalmente a un processo. Altro caso di contaminazione da Pfas è in provincia di Alessandria, ad opera della Solvay, dove – nonostante la presenza di questo inquinante accertata nei fiumi Po e Bormida e nella falda esterna alla fabbrica – la società ha chiesto e ottenuto dalla provincia di Alessandria l’estensione dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) per l’uso e la produzione. E, poi, c’è il caso della Val Basento, in Basilicata, in cui sono risultati presenti nel suolo e nelle acque di falda metalli pesanti e solventi clorurati dovuti agli scarichi degli stabilimenti Anic/Enichem e Materit. Infine, il caso del profondo acquifero del Gran Sasso, che serve molte aree dell’Abruzzo ed è risultato contaminato di sostanze inquinanti quali cloroformio e diclorometano, a causa dei laboratori nazionali dell’Istituto di Fisica Nucleare e del traforo dell’A2.

IN QUESTO INIZIO DI ESTATE SECCO e bollente, la cura per una risorsa inestimabile come l’acqua deve diventare una priorità. Il tempo sta scadendo. O si pianifica e si inverte la rotta in chiave sostenibile oppure andrà sempre peggio. E la nostra rete colabrodo sarà solo uno dei tanti problemi.