«Finalmente il governo ha smesso di sfuggire alla decisione e ha fissato una data: adesso abbiamo un punto fermo e possiamo lavorare meglio per la riuscita del referendum». Via i voucher – «massimo simbolo della precarietà» – e nuove regole per gli appalti: l’eurodeputato di Sinistra italiana Sergio Cofferati si trova perfettamente in sintonia con i quesiti posti dal sindacato di cui è stato segretario, la Cgil, e anzi proprio nel lavoro vede «la cartina di tornasole per individuare chi è di sinistra» e i «contenuti concreti su cui aggregare future coalizioni, in vista delle prossime elezioni politiche».

La data del 28 maggio è positiva per i proponenti?

Io credo proprio di sì. La scansione degli appuntamenti mi sembra più problematica, piuttosto, per il governo: in aprile le primarie del Pd, poi il referendum e le elezioni amministrative. Una grande partecipazione popolare e la vittoria del Sì rappresenterebbero un serio problema per la stabilità dell’esecutivo.

Il quorum non è un problema?

Nulla è scontato, ma penso che soprattutto i voucher abbiano una forza attrattiva enorme: rappresentano un’immagine straordinaria della precarizzazione, forse mai sintetizzata così efficacemente nella storia del lavoro, e riguardano una vasta platea di giovani, ma non solo loro. Giovani, segnalo, che alle ultime elezioni avevano mostrato disaffezione, ma che poi si sono mobilitati di nuovo per il referendum del 4 dicembre, esprimendo un netto no al governo Renzi.

Però intanto si lavora per un’alternativa legislativa. È un’opzione che ha qualche speranza?

Mai dire mai, ma obiettivamente al momento la vedo una soluzione improbabile. La proposta di legge uscita dalla Commissione Lavoro della Camera, e su cui il governo sembra d’accordo, non soddisfa – secondo me a ragione – la Cgil: e sappiamo che per evitare il referendum l’opinione del proponente è dirimente. È una formula pasticciata. D’altronde, per arrivare ad approvare una legge che dia realmente risposta al quesito, dovresti formare una maggioranza diversa da quella attuale, perché non credo proprio che Sacconi e l’Ncd saranno mai d’accordo.

Restiamo sui referendum: è saltato proprio il quesito che più evocava i tre milioni in piazza del 2002, quello sull’articolo 18. Una perdita irrecuperabile?

Assolutamente no, è al contrario un tema su cui dobbiamo ritornare. Ai tempi mi contestavano continuamente che pochissimi ricorrevano all’articolo 18, e io rispondevo che la forza di quella tutela sta proprio nella deterrenza: l’impresa non può agire degli abusi se sa che poi dovrà reintegrarti. Si potrebbe reintrodurre con una legge, o anche con un nuovo referendum: basta ripartire dalle ragioni di non ammissibilità indicate dalla Consulta, così da riscrivere il quesito, e appena si ripresentano le condizioni si può riaprire una raccolta firme.

In effetti il tema è assolutamente attuale: lo stesso Damiano, presentando la piattaforma di Sinistra Pd per Orlando, ha parlato di nuovi interventi sul 18.

Damiano però ha votato il Jobs Act. Lo stesso Orlando ha approvato tutti i provvedimenti economici e sul lavoro degli ultimi due governi di cui ha fatto parte, e prima ancora quelli di Monti. Voglio dire: sono questi i temi su cui si può individuare chi è di sinistra, al di là delle autovalutazioni che vedo abbondare in questi giorni. L’articolo 18, una posizione chiara sui referendum Cgil, sono la vera cartina di tornasole. Chi ha approvato le peggio cose di Renzi, ma prima ancora i provvedimenti Fornero, adesso pare pentirsi: ma la sfida è questa, il gioco si scopre da qui alle prossime elezioni, su contenuti chiari e senza giravolte.

Sono parti con cui dovrete dialogare per formare eventuali future coalizioni di governo. Pisapia ci sta provando.

Per ora vedo solo politicismo, nessun contenuto di merito.

E un Pd di nuovo renziano, quindi, sarebbe ancor più lontano… Alleanza impossibile.

Per ora non ho visto traccia dei contenuti che dicevo. Per fare una coalizione seria servono forze di sinistra, ed eventualmente centriste, ma con cui ci sia una forte condivisione degli obiettivi e dei programmi. Per capirci: non basta autoaccreditarti come «partito di sinistra» se poi quando governi vari provvedimenti di segno opposto.

Tracciamoli allora, dei punti che possano individuare senza equivoci la sinistra. Facciamo cinque, credo bastino per ora.

Il primo è la politica espansiva: il lavoro non si crea con gli incentivi fiscali, che come abbiamo visto sono costati tantissimo e hanno prodotto risultati risibili. Servono investimenti e sostegno alla domanda. 2) C’è bisogno, mi si dirà, di grandi risorse: certamente, e le puoi ricavare abbassando la tassazione su imprese e lavoro e innalzandola nel contempo su rendite e patrimoni. In questo modo sostieni anche la domanda, perché i lavoratori possono tornare a comprare. Aggiungo che il governo con la cosiddetta flat tax sta facendo esattamente il contrario, tra l’altro contraddicendo a quanto chiede in Europa: incita Bruxelles a colpire i paradisi fiscali, poi ne crea uno da noi, a Roma. 3) Qualità e dignità del lavoro: cioè conoscenza e diritti. Investire su ricerca, formazione, innovazione, e insieme tutelare i lavoratori. L’articolo 18, l’abrogazione dei voucher, la responsabilità solidale negli appalti possono essere ad esempio tre pilastri per le fondamenta. 4) Protezione dei più deboli con un reddito minimo garantito: io lo intendo come una misura universale, che copre tutti, non solo i lavoratori. 5) Riscrivere i trattati europei: non cedendo alle sirene del neoliberismo ma neanche al sovranismo. Proteggere euro ed Europa rilanciando una battaglia che può essere lunga ma che è necessaria, con il Pse e la sinistra.