In Giappone la sacralità del rigore si traduce anche nell’organizzazione della viabilità: un divieto di sosta o un senso unico possono essere simulacri visivi dell’ordine e dell’autorità. Clet Abraham sapeva di compiere un affronto, e un reato, nel momento in cui ha iniziato ad attaccare i suoi adesivi sui cartelli stradali del centro di Osaka, ma «avevo sottovalutato le conseguenze», ammette.

Risale al 14 gennaio la notizia dell’arresto di Mami Urakawa, fidanzata dell’artista bretone, da parte della polizia di Osaka. L’accusa nei confronti della donna è quella di avere danneggiato alcuni pannelli della segnaletica stradale dei quartieri Chayamachi Kita Ward di Osaka City. Mami ha negato di avere partecipato direttamente alle azioni del compagno, ma questo non le ha evitato le manette.

Il fatto di essere fisicamente presente mentre l’uomo applicava i suoi famosi adesivi (circostanza ripresa da alcuni video) e il fatto di avere ammesso di essere la partner, l’hanno portata a trascorrere una settimana in carcere, nell’impossibilità di comunicare con altri che il proprio avvocato.

La «spiata della stampa locale»
«In prigione per essere la fidanzata di un artista – si infuria Clet Abraham che, al momento dell’arresto, era già tornato in Italia – non riesco a immaginare accusa più assurda. Dovrebbero arrestare, per complicità, tutti coloro che mi sostengono o che si fermano a guardare mentre compongo le mie opere».

Lo street artist si trovava in vacanza nella città di origine della sua compagna, che ha 43 anni e lavora come cameriera a Firenze, ma aveva deciso di lasciare qualche traccia di sé. In un paio di settimane aveva modificato circa 80 cartelli stradali «pochi – afferma – nello stesso periodo a Parigi ne avevo realizzato 400. Ho lavorato con discrezione e delicatezza perché sapevo che in Giappone esiste una cultura dell’ordine molto forte e che la legge è più severa».

A denunciare la coppia alle autorità è stata la stampa locale. Mentre nel resto del mondo i quotidiani fanno a gara, specialmente in questo periodo, a ribadire l’importanza della libertà di espressione, a Osaka «alcuni giornalisti – racconta Abraham – hanno utilizzato immagini pubblicate su Facebook, e un video amatoriale, per creare un caso e trasformare Mami in un nemico pubblico». L’espressione non è esagerata. Dal momento dell’arresto, prima sull’emittente locale Kansai tv e successivamente anche sui canali nazionali, la vicenda è stata raccontata con toni molto pesanti. «Una campagna mediatica incomprensibile – aggiunge l’artista – per un caso così marginale. Ma evidentemente sia le testate sia il loro pubblico sono molto conservatori».

Il sindaco «hashista»
Osaka è la seconda città del Giappone per numero di abitanti, governata dal sindaco Toru Hashimoto, uno per cui è stato coniato il neologismo hashism, che rimanda al termine fascismo. Cofondatore del Partito Nazionalista, Hashimoto è figlio di un padrino della Yakuza, e nonostante stia favorendo l’apertura di case a luci rosse e locali per il gioco d’azzardo, è celebre soprattutto per aver deciso di licenziare i dipendenti pubblici tatuati. Con questi presupposti, anche la polizia locale è caratterizzata da metodi piuttosto pesanti. «Ci hanno detto che se fossimo stati a Tokyo tutto questo non sarebbe successo» ironizza Clet. Forse è vero. O forse no.

Un altro famoso street artist francese, Invader (lavora applicando sui muri piccoli mosaici raffiguranti i personaggi dei videogiochi anni Ottanta), ha avuto un’esperienza simile. Nel maggio scorso ha realizzato alcuni lavori a Tokyo e, dopo il suo rientro il Francia, la polizia ha arrestato il suo gallerista e i suoi due assistenti. Due settimane di galera per tutti e multa salatissima. Secondo il racconto di Invader la polizia avrebbe chiesto ai proprietari degli immobili di denunciare il danno subito per avere un appiglio giuridico più consistente.

Al momento Mami Urakawa ha ottenuto gli arresti domiciliari. Ogni giorno viene accompagnata da alcuni agenti in questura dove subisce interrogatori anche di otto ore. «Le chiedono di ricostruire in ogni dettaglio quello che abbiamo fatto in quelle due settimane, ma cercano solo un modo per riportarla dentro» dice Clet Abraham. La polizia ha già fatto ricorso due volte nei confronti del giudice affinché la donna sia nuovamente incarcerata. Mami Urakawa ha anche firmato un documento in cui dichiara di non avere intenzione di entrare in contatto con il fidanzato. Nel frattempo Clet non è stato ancora contattato dagli inquirenti.

A breve il processo
E presto si aprirà il processo: «Sarà condannata e ci sarà da pagare una cifra alta tra cauzione e risarcimento, ma speriamo di uscire da questo incubo». Una cosa è certa: Clet Abraham non potrà più mettere piede in Giappone: «Mi arresterebbero e il trattamento sarebbe anche peggiore».

E dire che in Italia sia all’estero sono sempre di più le istituzioni che hanno deciso di commissionare a Clet Abraham interventi a pagamento sulla segnaletica. In questi giorni vengono definiti i dettagli di una collaborazione con il Comune di Encisa Val D’Arno, in Toscana, mentre nelle prossime settimane l’artista sarà a Evry, comune alle porte di Parigi retto per 11 anni dall’attuale primo ministro Manuel Valls. Clet potrà ridisegnare i cartelli stradali a totale piacimento.

L’arte rivoluzionaria di Abraham è «educata». Gli sticker possono essere rimossi; il suo obbiettivo è restituire alla segnaletica una parvenza di umanità. «Vorrei convincere ciascuno di noi – aggiunge – che nulla è intoccabile, che possiamo contribuire, essere partecipi, anche scavalcando la legge se necessario».

Le sue creazioni denunciano anche un danno economico «nelle grandi città italiane il numero di cartelli è superiore del 20% a quello di città come Londra o Parigi, con un aggravio di spesa pubblica non indifferente», un danno ambientale «i nostri centri storici sono deturpati dall’invasione di cartelli stradali» e funzionale, perché troppe indicazioni portano a una perdita dell’efficacia della comunicazione. «Quello che propongo è definire una nuova armonia tra il nostro naturale bisogno di regole e il nostro naturale bisogno di libertà».

Quella di espressione, innanzitutto. Che all’indomani della strage di Charlie Ebdo – in una vignetta firmata da Clet – assume il volto della statua della libertà di New York. Il monumento è ritratto con una copia del giornale satirico sotto braccio e una matita gigante in mano, al posto della fiaccola. «Je suis Charlie e non potrebbe essere diversamente – dice – perché sono un disegnatore e perché sono francese. Quei nomi e quelle immagini sono da sempre parte del mio bagaglio culturale».

La prefettura di Osaka, nel frattempo, ha deciso di vietare le manifestazioni di piazza in solidarietà con le vittime degli attacchi terroristici in Francia.