Stavolta Pippo Civati ha davvero detto addio, dopo un paio d’anni di annunci e disannunci, di decisioni sofferte e interlocutorie che ogni volta si trasformavano in smentite e indecisioni. Ma siccome le indecisioni dei dirigenti, diceva Lev Trotskij, sono quelle «che maggiormente debilitano le masse»; e siccome la sua credibilità si stava consumando come fiammella di speranza da troppo tempo accesa; e siccome più prosaicamente quelli di Sel, pronti da tempo al big bang per una nuova forza di sinistra, si stavano estenuando e anche un po’ irritando nell’attesa, ieri Civati ha scritto un post definitivo sul suo blog: «Il futuro sarebbe a portata di mano, basterebbe imparare a sposare tradizione e cambiamento, coniugando cose antiche come i diritti e nuovissime come l’innovazione». «Mi spiace per chi ha cambiato idea ma per quel che mi riguarda continuerò a farlo con tutti quelli che lo vorranno. Secondo me sono tantissimi». Segue la storia di Nikola Tesla, pioniere dell’elettricità, il cui lavoro «ha dato decisivo impulso alla seconda rivoluzione industriale». Poi al Post e alle agenzie di stampa ha spiegato in maniera più diretta in fondo confermando quello che da lunedì andava dichiarando ai cronisti: «Esco dal gruppo del Pd. Per coerenza, non mi sento più di votare la fiducia al governo Renzi». In realtà Civati non ha votato la fiducia al governo Letta – ma un anno dopo è stato l’unico a votare contro la sua defenestrazione – e di lì è partita la sua lunga teoria di voti contrari al governo. Il giovane filosofo – classe ’75, prodiano, cursus honorum tutto dentro i Ds per i quali è stato consigliere nella sua Monza, poi alla provincia di Milano, poi alla regione Lombardia e infine fondatore del Pd, candidato alle primarie e deputato – con Renzi entra in rotta di collisione subito, alla prima Leopolda, nel 2010: i due salirono sul palco insieme come co-organizzatori ma finirono in dissenso già prima delle conclusioni.

Il resto è cronaca di un addio molto annunciato, dopo una serie lunga di dissensi sulle scelte del governo Renzi, a cui invece aveva votato la fiducia. Da mesi la sua associazione ’È possibile’ moltiplica le collaborazione con Sel sui territori, dalla Sicilia, dove un gruppone dei suo lo ha preceduto fuori dal Pd, fino a Genova, dove il ’suo’ Pastorino guida la sinistra antiPd alle regionali. Ieri il coordinatore di Sel Nicola Fratoianni gli ha spalancato le braccia: «Siamo disposti a discutere con lui per creare una nuova forza politica, per contrastare l’idea che non c’è alternativa. Metteremo in discussione l’assetto del partito». A Montecitorio la cosa è seplice, a Palazzo Madama invece per fondare un nuovo gruppo, basterebbe sommare ai sette di Sel (ora nel gruppo misto) tre senatori, pescati fra gli ex grillini o fra i sei civatiani. Che però non lo seguono, almeno per ora. E pensano alla battaglia sulla riforma costituzionale: «Il Pd è la nostra trincea, mollare sarebbe come disertare», spiga il ’vicinissimo’ Mineo. A sinistra intanto il benvenuto ha sfumature diverse. Per Vendola «ora non si tratta di riorganizzare il campo dei resistenti ma di dare risposte innovative al nostro blocco sociale». Paolo Ferrero, Prc, si augura «una costituente di sinistra».

In attesa di stringere avere a che fare con i suoi nuovi compagni, Civati spiega e a «8 e mezzo» su La7 le sue ragioni: «Io non ho tradito. Renzi non ha rispettato il programma con il quale siamo stati eletti, a cominciare dalla legge elettorale e dalle riforme. Ha parlato di risultati straordinari del jobs act che non si vedono». E le sue intenzioni: «Penso ad una sinistra di governo. Sono uscito dal Pd che non è più di sinistra ma solo di governo. Chi ne farà parte? Letta è un po’ lontano. Bersani potrebbe essere un riferimento ma non credo che uscirà dal partito». Sarà leader? «Mi penso come promotore di quel lavoro da fare. Il leader lo sceglieremo insieme». Il web impazza, il blog di Civati crolla per troppi accessi. E nel Pd scoppia il rammarico tardivo di qualche renziano e la rivolta delle minoranze: D’Attorre, Bindi, Speranza, tutti chiedono «rispetto» per la scelta e «riflessione». Per il momento nessuno lo segue, ma è noto che c’è un gruppo di dem, fra cui D’Attorre e Fassina, che ormai non escludono la possibilità di lasciare. Dal Nazareno trapela indifferenza, se non soddisfazione. Il numero due del Pd Lorenzo Guerini si dice «dispiaciuto ma non impensierito». Lo corregge il presidente Matteo Orfini, che twitta: «Raramente siamo stati d’accordo, ma se Civati se ne va non è una bella cosa né per lui né per il Pd. #pipporipensaci».