Nel giro di due giorni gli Usa hanno imposto nuovi dazi sulle merci cinesi, per un valore di 200 miliardi di dollari – e aumenteranno dal 2019 -, Pechino ha risposto con misure per un totale di oltre 60 miliardi, mentre in contemporanea, a Pyongyang, andava in scena il terzo meeting tra Kim Jong-un e Moon Jae-in sulla questione coreana, terminato ieri con un accordo che apre nuove squarci di pace tra i due paesi e potrebbe aprirne di nuovi per quanto riguarda la denuclearizzazione.

I recenti eventi, se non sono collegati in modo automatico, insistono su uno stesso scenario, ovvero quello dell’ondivago rapporto tra Usa e Cina. Le sanzioni di Trump sono un importante balzo in avanti rispetto alle precedenti, ma secondo gli analisti internazionali non sono ancora considerati degni di uno worst scenario; e non lo sarebbero neanche se aumentassero. Pechino dal canto suo ha reagito contro-sanzionando Washington, ma voci dalla capitale cinese confermano l’esistenza di un dibattito interno, circa il modo corretto di rispondere. L’incertezza iniziale dei funzionari cinesi sulla risposta da dare a Trump è basata sulla sensazione che le attuali misure siano molto collegate alle elezioni americane di midterm e pur non avendo digerito l’annuncio proprio poco prima che il proprio team partisse per gli Usa, per trattare sui dazi, ha infine risposto in modo determinato, confermando però la propria volontà al dialogo.

Capacità mediatrice, del resto, che la Cina ha dimostrato proprio sulla questione coreana: la svolta attuale di Kim Jong-un, fatta di buoni propositi e di importanti accordi con la Corea del Sud per quanto riguarda i progetti economici, e non solo, sanciti dal vertice di Pyongyang – ripristino delle ferrovie di collegamento, diminuzione del personale militare alla frontiera, possibilità di incontri più frequenti tra le famiglie separate dal confine – dipende in primo luogo dal meeting che il leader coreano ha avuto con Xi Jinping nelle settimane passate a Pechino. Dopo le accuse di Trump contro Pechino, responsabile, secondo la Casa bianca, del mancato progresso della denuclearizzazione, Xi Jinping ha incontrato Kim dimostrando agli Usa di essere ancora l’unico a riuscire a imporre una linea d’azione saggia al boss nordcoreano.

E Kim ha rispettato il mandato, dicendo inoltre di essere pronto a visitare Seul (sarebbe il primo leader della Repubblica democratica coreana a recarsi al Sud) e appoggiando la doppia candidatura coreana per le Olimpiadi del 2036.

Moon ora è atteso a Washington, dove ad aspettarlo ci sarà Trump che si è detto entusiasta del summit, ma che dovrà tenere conto di due fattori: la guerra commerciale in atto con Pechino e le conclusioni del meeting di Pyongyang per quanto riguarda la denuclearizzazione. Pechino, infatti, sembra aver risposto alle sanzioni utilizzando anche la questione coreana: ieri Kim si è detto disposto ad accettare sul proprio territorio esperti esterni per verificare la distruzioni di siti nucleari e piattaforme missilistiche, chiedendo in cambio – su chiara indicazione cinese – analogo comportamento, in tema militare da parte degli Usa.

Anche a Singapore Trump tenne a precisare la sua fermezza sulle basi americane in Corea del Sud. Pechino ha portato dunque Kim sulla via della pace, mantenendo però salda la sua richiesta (i «due no») sulla presenza Usa in Corea. Mosse e contromosse sullo stesso scenario: entrambi i contendenti si muovono su un terreno minato ma che ritengono sotto controllo, per ora.