Durante la campagna elettorale Donald Trump ha utilizzato lo spauracchio cinese per fomentare quella parte di popolazione e classe dirigente che ritiene sia la Cina la principale causa dell’attuale difficoltà dell’economia americana.

TRUMP HA ACCUSATO PECHINO di dumping, di rubare proprietà intellettuale Usa, promettendo una guerra commerciale contro il gigante asiatico. Anzi, proprio le minacce di dazi e di una chiusura del mercato americano, avevano fatto sorgere i primi sospetti circa un «isolazionismo protezionista» promosso dal candidato alle presidenziali. Una volta eletto Trump, Xi Jinping nel suo discorso a Davos nel gennaio 2017, aveva elogiato la globalizzazione come un fenomeno irreversibile e aveva ammonito contro potenziali ritorni a protezionismi dannosi per l’economia mondiale.

IL MESSAGGIO DI XI a Trump era chiarissimo. «The Donald» però, una volta alla Casa bianca, è parso dimenticarsi dei suoi improperi anti cinesi; durante il primo incontro con Xi Jinping in Florida ad aprile i due erano parsi in sintonia. Trump aveva definito il presidente cinese un «good guy» e aveva ufficializzato tutta una serie di accordi economici destinati a diminuire il deficit della bilancia commerciale Usa con Pechino. Poi è arrivata la crisi coreana, attuale termometro impazzito delle relazioni tra i due paesi: in un primo tempo Trump si era detto fiducioso dell’opera di mediazione da parte della Cina, ribadendo la sua volontà a non voler ricorrere ad alcuno scontro commerciale con Pechino.

POI A GIORNI ALTERNI si dichiarava frustrato, poi di nuovo convinto che la Cina potesse risolvere tutto. In questo tripudio di dichiarazioni su Twitter, la settimana scorsa è arrivata la notizia che ha fatto saltare sulla sedia parecchi funzionari cinesi: il presidente americano si è detto pronto a fare partire un’indagine contro la Cina per quanto riguarda il furto di proprietà intellettuale.

UN «KICK OFF» rinviato proprio nei giorni che precedevano la votazione all’Onu di nuove, e durissime, sanzioni contro la Corea del Nord. Pechino – capito il segnale – ha votato a favore. Ieri però Trump ha firmato un memorandum diretto al rappresentante al Commercio Usa, Robert Lightzier, per determinare se le leggi cinesi discriminino le compagnie americane che operano nei mercati innovativi. L’indagine potrebbe dar seguito a sanzioni verso Pechino.

LA REAZIONE CINESE non si è fatta attendere. «Una guerra commerciale tra Usa e Cina non avrebbe vincitori, ma solo perdenti» è stato il monito della portavoce del ministero degli esteri cinese, Hua Chunying. «Noi – ha proseguito – abbiamo sottolineato diverse volte che l’essenza delle relazioni economiche e commerciali sino-americane è una situazione reciproca di win-win: la cooperazione  deve essere basata sul rispetto dei reciproci maggiori interessi e preoccupazioni», ha detto ancora, passando ad accusare Trump di voler usare la questione commerciale per fare pressioni sul fronte nordcoreano.