Il protagonismo femminile è presente anche all’interno delle spy story. E se una volta, le donne, venivano descritte praticamente soltanto come malvagie anche se affascinanti doppiogiochiste alla Mata Hari, oppure semplici spalle dell’eroe, come tante Bond-girl, nell’ambito dell’attuale immaginario collettivo emergono sempre più spesso in primo piano. Basti pensare, ad esempio, a serie come Homeland o Agent Carter o ancora Marvel’s agents of Shield.

NON È SOLTANTO a livello di immaginario che la tendenza, per fortuna, sembra essersi invertita, ma anche e soprattutto nello studio e nella valutazione dei fatti storici. Così, solo per restare in Italia, sembra affiorare, con sempre maggior evidenza, da vari anni, l’importanza delle donne nello sviluppo della lotta partigiana. E allo stesso modo ci sono figure femminili di rilievo, veri e propri agenti segreti, che hanno rivestito un ruolo fondamentale nella vittoria degli alleati nella Seconda guerra mondiale.
È il caso, questo, di un’aristocratica polacca, con ascendenze ebree, nota con il nome di Christine Granville, anche se in realtà di nomi in codice ne ha avuti tanti, nata come Krystina Skarbek, definita la preferita di Churchill tra gli agenti segreti al servizio della corona britannica. A lei è dedicata la biografia, scritta da Clare Mulley e intitolata La spia che amava (Edizioni 21 lettere, pp. 656, euro 20, traduzione di Valeria Cartolaro).

INTELLIGENTE, indipendente e coraggiosa, animata dalla voglia di contribuire alla lotta contro il nazismo, Christine abbandona la Polonia allo scoppiare della Seconda guerra mondiale e ben presto viene reclutata dai servizi inglesi. Il suo primo incarico è in Ungheria, dove incontra Andrzej Kowerski, anche lui polacco e conosciuto quand’erano bambini. Sarà, in pratica il suo compagno per tutta la vita. Con lui e altri entra in contatto con la resistenza polacca, costruisce reti, raccoglie informazioni, organizza la fuga di vari profughi dalla Polonia. Christine è anzitutto una donna libera e il rapporto con Andrzej non sarà esclusivo, ci saranno varie storie d’amore nel corso della sua vita. Lei è bella, ma di una bellezza particolare. In gioventù ha anche vinto un premio a un concorso di bellezza, ma dalle foto e dalle descrizioni di chi l’ha conosciuta, appare essere soprattutto affascinante e interessante.
Sembra in grado di attirare l’attenzione di chiunque se vuole, ma allo stesso tempo capace di passare quasi inosservata. Una questione di presenza e di fascino, insomma, più che di bellezza fisica e apparenza.

Dall’Ungheria, con varie puntate in Polonia, la sua attività la porta in Egitto, Algeria, Francia e anche Italia. È lei, infatti, a organizzare un incontro tra partigiani francesi e italiani. Gli episodi avventurosi, naturalmente, si susseguono e l’autrice riporta tutta una serie di eventi che hanno reso la figura di Christine leggendaria. Come quando ammaliò un feroce cane della Gestapo trasformandolo in pratica nel proprio «cucciolo» che la seguì abbandonando il padrone nazista. Oppure come quando riuscì a far fuggire dalle prigioni naziste il capo della rete di spionaggio della Francia meridionale e altri importanti agenti.

O ANCORA quando convinse un’intera guarnigione tedesca a disertare. In queste fasi il racconto si fa incalzante e il lettore viene completamente catturato dal susseguirsi degli avvenimenti. Lo stile dell’autrice diviene allora rapido e tagliente, seppur elegante e raffinato, avvicinandosi a quello dei romanzi di Eric Ambler. Questo, però, non è un romanzo d’avventure e così da un lato ci sono anche tutti i momenti di scoramento, di difficoltà, di angoscia vissuti dalla protagonista, le invidie e le diffidenze nei suoi confronti, i giudizi negativi per il suo stile di vita, le malvagità legate al suo essere donna, i pettegolezzi, le divisioni che attraversano la resistenza polacca, fino al suo essere in pratica dimenticata e messa da parte col termine della guerra.

CLARE MULLEY offre ogni riscontro documentale a quanto sta raccontando ed il libro è dotato di un notevole apparato bibliografico e di note. Molto pratica e accorta, poi, la divisione tra note che rimandano a fonti, raccolte alla fine del testo, e note che chiariscono parti del racconto, riportate invece a piè di pagina. Peccato solo per alcune fastidiose imprecisioni nella traduzione, come quella di definire «Ministro britannico in Ungheria» Sir Owen O’Malley, evidentemente capo della legazione inglese a Buda.