Mentre si sta discutendo la nuova legge elettorale, un ingente numero di associazioni femminili e di movimenti di donne è tornato a porre la questione della democrazia paritaria.

Si pone cioè la questione che la democrazia non è tale se non riconosce e valorizza la differenza di genere, l’esistenza di punti di vista che hanno il genere come origine e motivazione. Non dunque soltanto il riconoscimento della necessità di rimuovere i possibili ostacoli derivanti dalle differenze, ma l’esistenza di una cittadinanza duale.

Il movimento per la democrazia paritaria ha promosso una iniziativa per chiedere che nella composizione delle liste bloccate previste dalla proposta Renzi-Berlusconi sia garantita l’alternanza obbligatoria dei generi. Naturalmente è difficile non essere d’accordo, come sempre. Ma stavolta è difficile sfuggire alla sensazione che ci sia qualcosa che non va.

Tutta la complessa elaborazione delle donne non può tradursi soltanto in una richiesta di tutela, senza pronunciare parola sul fatto che le norme all’interno delle quali si chiede tutela siano criticate, giudicate incostituzionali e gravemente lesive del diritto di tutti i cittadini e le cittadine ad essere rappresentati e a veder pesare il proprio voto nella determinazione della composizione del Parlamento.

Non possiamo ignorare che proprio su questo è in corso nel Paese uno scontro in cui si contendono visioni della democrazia e della partecipazione. Né possiamo accontentarci di vedere tutelata la presenza delle donne dei partiti e movimenti maggiori, di vedere un numero paritario di donne nel nuovo parlamento dei nominati e del duopolio dei partiti maggiori. Possibile che il discorso sulla democrazia sia ancora e solo un discorso tra uomini e noi possiamo solo cercare tutela?

Per essere paritaria, per riconoscere e valorizzare la differenza di genere la democrazia deve innanzitutto essere di tutti. Altrimenti è solo la parità del ceto politico e di un ceto politico selezionato dall’alto che non risponde agli elettori e alle elettrici.

Nel momento in cui la legge è in discussione le donne dovrebbero porre il problema che una democrazia vera non può che essere massimamente inclusiva, che deve favorire e non scoraggiare chi vuole organizzarsi e partecipare, che deve sostenere chi è più debole sul piano sociale e finanziario, che deve evitare i conflitti di interesse e garantire l’equilibrio dei poteri. Se c’è una cosa che le donne sanno è che il conflitto non solo non è inevitabile, ma è al contrario necessario. Una legge elettorale e una democrazia devono garantire e regolare il conflitto, non nasconderlo e cercare di sopprimerlo.

Non possiamo rinunciare a prendere la parola dal nostro punto di vista sulle soglie di sbarramento, sul premio di maggioranza. Perché non parlare della possibilità della doppia preferenza o del collegio binominale? Perché limitarsi a garantire un ceto politico femminile qualsivoglia?