La redazione consiglia:
Femminismo, la sfida giovaneIl soffitto di cristallo si è rotto, non per tutte, non in tutto, ma il fatto che in Italia in pochi mesi due donne siano diventate una presidente del consiglio, Giorgia Meloni, e una segretaria del primo partito di opposizione, Elly Schlein, è un fatto storico incontrovertibile, naturale evoluzione delle lotte femministe, l’unica rivoluzione riuscita del secolo scorso. Le donne, quindi, sanno e possono arrivare al potere, ma è proprio da qui che bisogna cominciare a interrogarsi. Qual è questo potere? E come è? Come le donne vogliono e possono esercitarlo? Ma, soprattutto, vogliono cambiarlo? E come? Sempre che sia possibile cambiarlo, il potere, perché così com’è stato concepito e diretto nei secoli ha una perfetta identità patriarcale, ovvero chi vince comanda, a volte con le buone e spesso con le cattive, che poi sono dittature e guerre, mette in cima a tutto il denaro, usa la manipolazione delle notizie e la propaganda per sopravvivere, impone sistemi di vita, in perfetta sintonia e complicità con il capitalismo.
Il femminismo, con l’autocoscienza, ha portato nella società e nelle relazioni una pratica fondamentale, il desiderio e la capacità di ascolto. Ascolto del sé interiore, ascolto dell’altra e dell’altro, che non significa essere sempre d’accordo, ma portare avanti le proprie istanze, i desideri, accettando e gestendo il conflitto che a volte è vitale. Ma allora, che cosa ne facciamo di questi corpi caratterizzati fin dalla nascita da differenze biologiche come l’utero, la vagina, le ovaie, la clitoride, gli ormoni?

DARSI il diritto di parola e la capacità di accogliere la parola dell’altra significa costruire autorevolezza, cosa ben diversa dal potere. Darsi autorevolezza significa diventare soggetto politico perché, e questa è un’altra lezione del femminismo, il personale è politico.
Preso atto delle conquiste e dei traguardi raggiunti, che cosa significa, oggi, essere donna? Che differenza può fare l’essere donna? La domanda non è peregrina perché mai come ora è messa in discussione proprio la parola donna, rimpiazzata da persona, cancellata da shwa e asterischi, in un tentativo di neutralizzarla sostituendo il genere al sesso.
Ma allora, che cosa ne facciamo di questi corpi caratterizzati fin dalla nascita da differenze biologiche come l’utero, la vagina, le ovaie, la clitoride, gli ormoni? Può tutto questo essere ridotto a un incidente fisico, a un’opinione, a un fastidio modificabile secondo l’umore della giornata o del periodo della vita? Pensiamo davvero che, cancellate le differenze, saremo più libere? E poi, libere di fare che cosa? Di replicare gli errori del patriarcato? Il lavoro politico del femminismo ha dato la consapevolezza della differenza, non dell’appiattimento su un sistema classista, violento e fallimentare.

DA BAMBINA volevo essere un maschio per poter fare le stesse cose permesse ai miei fratelli e non a me. Non mi piaceva giocare con le bambole, non mi piacevano le gonne con i volant, non mi piaceva essere catalogata come femmina. Viste queste premesse, se qualcuno da adolescente mi avesse diagnosticato una disforia di genere e mi avesse sottoposto a terapia ormonale e/o chirurgica, mi avrebbe rovinato la vita e tolto molte esperienze, fra cui quella erotica da femmina e la maternità che, per carità, non fa di una donna una donna, ma è pur sempre una possibilità.
Con il tempo, e il femminismo, ho capito che potevo essere e avere tutto, la libertà di scelta e i tacchi alti, un lavoro e il rossetto, l’indipendenza economica e un figlio, i fidanzati e una stanza tutta per me, le mie opinioni e la mia differenza, potevo cambiare, esplorare, combattere, piangere, accogliere, ridere e odiare la guerra. Questo, per me, è essere donna, ed è una grande, grandissima cosa.

mariangela.mianiti@gmail.com