In questi giorni caratterizzati dai lavori della «Doppia sessione» (Lianghui), il momento legislativo annuale della Cina, il Quotidiano del popolo dedica ampio spazio alla riflessione sullo stato di diritto, tema da sempre presente e controverso nel dibattito politico e scientifico cinese.

Entrato nella Costituzione, art. 5, nel 1999, con l’espressione «governo del paese il base alla legge», diversa da quella del «governo del paese attraverso la legge», dove il cambio di un carattere implica un allontanamento formale da quell’uso strumentale della legge tipico dell’autoritarismo tradizionale legista di Han Feizi e del primo imperatore della storia cinese, conosce un’interpretazione «confuciana», all’insegna dell’armonia e della mediazione con un Hu Jintao contrario al proliferare delle controversie nei tribunali, e diventa un tassello fondamentale della geometria istituzionale nell’era di Xi Jinping. Xi Jinping apre il dibattito politico sull’esigenza di rafforzare il «governo del paese in base alla legge» appena salito al potere. Poco dopo l’Assembla nazionale del popolo istituisce per il 4 dicembre la festa della Costituzione.

Xi declina la sua azione principalmente nel solco della lotta alla corruzione e del miglioramento del livello professionale degli operatori del diritto, innalzandone lo status sociale, riformando i concorsi ecc. Una tappa fondamentale è la riforma costituzionale del 2018 che formalizza il ruolo di direzione generale del Partito come principio fondamentale dell’ordinamento; crea la commissione di supervisione, istituendo così una procedura formale per il lavoro di supervisione rimasto, fino a quel momento, discrezionale ed interno al Partito; istituisce un comitato legislativo con funzioni di controllo di legittimità delle leggi (ancora non operativo); elimina il limite del doppio mandato per la presidenza della Repubblica.

Lo scorso novembre, Xi Jinping annuncia il suo «Pensiero sullo stato di diritto» e dopo due mesi il Comitato centrale pubblica il «Piano di costruzione di una Cina stato di diritto (2020-2025)». La locuzione «stato di diritto» è utilizzata in funzione attributiva della parola «Cina», che resta sostantivo nella frase in cinese. Non si tratta dunque di una versione cinese dello stato di diritto, ma di una sorta di principio di legalità autoctono, endogeno.

Il percorso di riforma cinese non va inquadrato dunque sui binari della «marcia verso» o «allontanamento dallo» stato di diritto occidentale, come ama fare gran parte del dibattito occidentale e soprattutto americano, ma si tratta di interpretare la direzione della «via dello stato di diritto socialista con caratteristiche cinesi».

La via tracciata dal Piano avrà le seguenti costanti: l’adesione alla direzione unitaria e centralizzata del Partito, inteso non nel suo complesso, ma con riferimento agli organi centrali con Xi Jinping «come fulcro»; il perfezionamento dell’impianto ideologico dello stato di diritto socialista con caratteristiche cinesi; il bisogno di «posizionare il popolo al centro», provando a rispondere alla sempre maggiore richiesta di legalità che arriva dal basso, e rafforzando la tutela legale dei diritti ed interessi legittimi; la considerazione costante della realtà concreta del paese, e delle esigenze economiche.

Il Piano fissa due scadenze: il 2025 per il perfezionamento del meccanismo di direzione del Partito basato sulla legge, del sistema giuridico socialista con caratteristiche cinesi centrato sulla costituzione, del sistema di amministrazione di governo basato su chiare responsabilità, del meccanismo operativo di mutua cooperazione e mutuo controllo del potere giurisdizionale; e il 2035 per una definitiva realizzazione di un paese di stato di diritto, di un governo di stato di diritto e di una società di stato di diritto, e più in generale della modernizzazione della capacità di governo e del sistema di governo del paese.

Il progetto di Xi sembra voler ridisegnare la relazione tra organi centrali e periferici, rafforzando gli strumenti istituzionali di controllo sui secondi sia dall’alto, che dal basso, migliorando la tutela dei cittadini. Ciò garantirebbe al leader cinese quel sostegno populista fondamentale per la legittimazione della continua crescita del suo potere.

Probabilmente assisteremo allo sviluppo di uno «stato di diritto» a doppio regime, uno più vicino al principio di legalità occidentale in vigore a livello locale, e un altro più vicino invece ad un uso strumentale, di tipo legista, della legge per quanto riguarda la leadership centrale e il ruolo personale di Xi Jinping.

*Zhongnan University of Economics and Law, Università di Trento