Il Parco Archeologico di Centocelle è un’area verde di 126 ettari a est di Roma, da tempo oggetto dell’attenzione dei cittadini e di quella altalenante delle istituzioni.

Si tratta di una porzione di territorio caratterizzata da numerose criticità: un parco non ancora interamente realizzato che vede al proprio interno l’installazione di infrastrutture militari di una certa rilevanza, circondato da numerosi autodemolitori (quasi tutti irregolari). A destare le preoccupazioni più gravi è tuttavia lo stato ambientale: nel giorno di Capodanno del 2017 è scoppiato un incendio covante causato da reazioni chimiche che ha riportato l’attenzione sul destino dell’area e dato voce alle associazioni attive per denunciare lo stato in cui versa il Parco: le immagini dei cumuli di rifiuti interrati sono giunte all’amministrazione che ha promulgato un decreto di interdizione dell’area e smassamento dei rifiuti cui sarebbe dovuta seguire la verifica dei materiali (mai avvenuta).

Nonostante il rinnovato interesse per il parco, ben poco di pratico è stato fatto. Alle analisi iniziali effettuate dall’Arpa sulle acque di tre pozzi e sulla qualità dell’aria non ha mai fatto seguito una verifica dello stato dei suoli, e le tre fasi della predisposizione di un piano di bonifica affidate all’Università Sapienza sono arenate da sei mesi. È a questo punto che la società civile ha voluto farsi parte del processo, per accelerare interventi urgenti e scongiurare la lentezza della burocrazia anche in questioni di emergenza come queste. Il Centro di Documentazione Conflitti Ambientali ha proposto alla Patagonia Environmental Grants Fund of Tides Foundation il progetto CleanUp 100Celle: dopo una lunga trafila burocratica e amministrativa, la settimana scorsa sono state presentate analisi indipendenti affidate a Source International e definite in collaborazione con la dottoressa Laura D’Aprile (del Dipartimento Tutela Ambientale e del verde di Roma Capitale). Le analisi hanno evidenziato elevate concentrazioni di metalli pesanti: berillio, selenio, stagno, tallio e vanadio. Si tratta, in ogni caso, di metalli non particolarmente tossici al contatto ma pericolosi in caso di ingestione o inalazione, anche in dosi minime. Per queste ragioni è stato sconsigliato l’utilizzo ricreativo delle aree del parco: niente giochi per bambini e niente jogging, per esempio.

Nonostante i pochi fondi disponibili, grazie all’impegno di un gruppo di cittadini dunque è stato compiuto il primo passo di un processo: è stato realizzato uno studio pilota, sono state prodotte delle evidenze scientifiche grazie alle quali è possibile, in questo momento, sollecitare e indirizzare l’azione istituzionale. Più che fornire una risposta, sono state portate alla luce molte domande: a cosa è dovuta la contaminazione dei terreni del parco? Cosa implica questo in termini di salute? Quali altri contaminanti sono presenti? Se i campioni sono stati prelevati soltanto su porzioni superficiali del suolo, cosa nascondono le viscere del Parco di Centocelle?

Sta adesso alle istituzioni, che sono venute a conoscenza dei dati, tenere fede agli impegni presi pubblicamente e intraprendere quella strada che possa restituire alla città un’immensa area verde, rendendola fruibile e salubre. E, soprattutto, finalmente pubblica.