A cento anni dalla sua fondazione e a trenta dalla sua scomparsa è ancora importante raccontare e comprendere la storia, per molti versi unica, del Partito comunista italiano, attore importante nella vicenda del comunismo internazionale e protagonista decisivo della storia italiana, in particolare dalla nascita della Repubblica in poi.

Tra le molteplici iniziative che, nell’anno che volge al termine, stanno contribuendo a ravvivare l’attenzione nei confronti della storia del Pci va segnalata la realizzazione di Cent’anni dopo, breve ma denso documentario diretto da Monica Maurer e Milena Fiore, scritto con lo storico Alexander Höbel, prodotto dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico. Il film merita senz’altro apprezzamento per l’efficacia narrativa e la capacità di sollecitare una riflessione critica sia sul ruolo del Pci nello sviluppo della democrazia italiana, sia sul drammatico impoverimento dell’iniziativa progressista seguito all’uscita di scena di quel partito.

Le immagini di repertorio utilizzate derivano interamente dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, e sono accompagnate da una voce narrante che ripercorre le principali tappe della vicenda del Pci, dal congresso di Livorno del 1921, momento fondante del partito, al suo scioglimento deciso durante il congresso di Rimini del 1991.

Il ruolo di testimone e interprete è affidato ad Aldo Tortorella, ex dirigente del partito e sua memoria storica. Come egli ricorda sin dalle prime battute, il partito nasce come Sezione italiana della Terza internazionale, e dunque come parte integrante di un processo rivoluzionario mondiale avviato con la presa del potere in Russia da parte dei bolscevichi, e destinato, nelle intenzioni iniziali, ad estendersi anche ai paesi occidentali. Il fallimento del progetto di rivoluzione in Occidente, testimoniato dall’avvento del fascismo in Italia e dalla crisi delle democrazie liberali fra le due guerre mondiali, diede poi avvio a un complessivo ripensamento della strategia rivoluzionaria dei comunisti italiani, da cui sarebbe derivata infine la riorganizzazione del partito, dal secondo dopoguerra, come partito di massa indissolubilmente legato alla nuova cornice democratica disegnata dalla Costituzione del 1948.

Nonostante fosse stato escluso dal governo nel 1947, in seguito all’inizio della Guerra fredda, dagli anni Cinquanta il Pci cominciò una continua avanzata all’interno della società italiana, rappresentando non solo la classe operaia, ma anche una parte dei ceti medi e del mondo della cultura. I consensi crescenti verso il partito ne fecero una forza politica in grado di sfidare il monopolio democristiano del potere e di sollecitare la realizzazione di importanti riforme per i diritti sociali e del lavoro. Nonostante la forza raggiunta, tuttavia, negli anni Settanta il Pci maturò la consapevolezza che non avrebbe potuto governare da solo, neanche con la maggioranza dei voti: il golpe cileno del 1973, da questo punto di vista, venne interpretato come un monito, spingendo Berlinguer a lanciare la proposta del «compromesso storico», poi archiviata pochi anni dopo con l’assassinio di Aldo Moro.

Oltre ai due grandi segretari di partito, Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer, il documentario mette opportunamente a fuoco anche la figura del grande innovatore Luigi Longo, il primo segretario a prendere pubblicamente posizione contro le scelte di politica estera dell’Unione sovietica, solidarizzando con Dubek in occasione della Primavera di Praga del 1968. Fu anche il segretario che tentò un dialogo con il movimento studentesco, nonostante la sostanziale estraneità di quest’ultimo rispetto all’alfabeto politico della tradizione comunista.

La forza comunicativa del documentario è affidata alle straordinarie immagini di repertorio, sapientemente montate da Milena Fiore. Esse restituiscono plasticamente una vicenda per molti versi unica nella storia della democrazia italiana: il coinvolgimento di milioni di persone, di lavoratori, tradizionalmente esclusi dalla partecipazione politica, mobilitati ed educati alla democrazia nella palestra del Pci, un partito capace di coniugare lo sguardo verso l’orizzonte del socialismo con il pieno rispetto della democrazia rappresentativa delineata dalla Costituzione. Il film fa emergere molto bene il contributo decisivo dato dal Pci alla realizzazione delle grandi conquiste democratiche ottenute dal 1948 in poi: dalla riforma agraria al diritto alla casa, dal superamento delle forme più odiose di sfruttamento del lavoro alle grandi conquiste normative su famiglia, diritti della donna e libertà di espressione, fino ad arrivare alle grandi riforme degli anni Settanta, dallo Statuto dei lavoratori alla nascita del Sistema sanitario nazionale.

Verso la fine del film vengono ripercorsi gli anni Ottanta, il momento dell’arretramento e della lenta involuzione del Pci, specialmente dopo la morte di Berlinguer nel 1984. Allo scioglimento del partito sono dedicate alcune inquadrature tratte dal congresso del 1991, dal sapore volutamente amaro, come a voler evidenziare la tragicità dell’autodissoluzione, sicuramente non inevitabile, a cui sarebbe seguito quel regresso sul piano politico e sociale che è parte del tempo presente.

Le immagini finali, risalenti al 1975, mostrano il popolo comunista che ascolta incantato le note di Vivaldi suonate dal flautista Severino Gazzelloni, restituendo nel modo migliore la straordinaria capacità del partito di far convergere cultura popolare e cultura «alta»; la voce narrante, nel frattempo, legge alcune parole di Antonio Gramsci rivolte al fratello Carlo, sulla necessità di continuare a lavorare con tenacia anche quando tutto sembra perduto. In un tempo come il nostro, di profonda crisi della democrazia e di disillusione verso la politica, non si poteva scegliere una migliore conclusione per una sintesi filmica sulla storia del Pci, una forza organizzata che ha sempre fatto dell’ottimismo della volontà il suo punto di forza.