Ci sono volute meno di 24 ore perché i nodi della presunta vittoria del presidente catalano in carica Artur Mas e della sua lista “Insieme per il sì” venissero al pettine.

Nelle elezioni di domenica, Junts pel Sí ha ricevuto quasi il 40% dei voti: più di qualsiasi altra forza, ma meno dei voti che avevano ricevuto separatamente le due principali forze che lo compongono: Convergència Democràtica de Catalunya (Cdc), di cui Mas è presidente, di centrodestra, e Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), centrosinistra. In percentuale, 4,4% in meno – anche se in numeri assoluti, data la maggiore affluenza di questa tornata elettorale (un record storico: più del 77% contro il 67% del 2012), hanno ricevuto circa 4.000 voti in più. Briciole, considerando che nel listone pro indipendenza entravano molti altri spezzoni di forze politiche e di ong indipendentiste.

Con i 62 seggi ottenuti, sono molto lontani dalla maggioranza assoluta, fissata in 68. Tanto lontani, che neppure se la Cup – il movimento di estrema sinistra indipendentista che ha triplicato i suoi seggi, da 3 a 10, passando da 126mila a 336mila voti – si astenesse, Junts pel Sí riuscirebbe a imporre Artur Mas come presidente. Se tutti votassero contro, con l’astensione della Cup, ci sarebbero 62 voti contro 63. E la Cup lo ha ribadito ieri: faranno pesare moltissimo il loro voto, e Mas non sarà presidente. «Che Cdc trovi un candidato che non faccia tagli e non sia corrotto», ha tuonato il capolista Antonio Baños. Il quale ha aggiunto che, senza una maggioranza assoluta dei voti (gli indipendentisti hanno raggiunto il 47% dei voti espressi), escludono la dichiarazione unilaterale di indipendenza, che entrambe le forze indipendentiste proponevano in campagna elettorale.

Podemos si lecca le ferite

Da parte sua, uno degli altri grandi sconfitti, Catalunya sí que es pot – la coalizione di rossoverdi, Podemos, e Izquierda Unida – ha rimandato al mittente le offerte di collaborare per un governo favorevole all’indipendenza, anche se non dovesse essere presieduto da Mas. Con i loro 11 seggi (rispetto ai 13 che avevano i rossoverdi di Icv da soli nella scorsa legislatura) hanno deciso di mettersi definitivamente all’opposizione di qualsiasi governo che veda la partecipazione di Cdc. In voti assoluti, hanno preso 366mila voti, solo seimila più che Icv nel 2012: sfuma il sogno di essere il principale partito dell’opposizione.

Il candidato Lluís Rabell ha iniziato le autocritiche, dando la colpa non solo alla polarizzazione del discorso indipendentista, su cui loro – unica forza – hanno evitato di prendere posizione, ma anche al ruolo di Podemos: «La marca ci ha complicato la vita». La diffusa percezione in Catalogna è che Pablo Iglesias e i suoi, che non hanno risparmiato energie in questa campagna, hanno peggiorato le cose. Podemos si è limitata ad attaccare Mas come unico responsabile dell’indipendentismo, e a pontificare sul potere salvifico di un eventuale governo di Podemos a Madrid per risolvere il puzzle catalano. Se a questo si aggiunge lo scarso carisma dei candidati e la fretta nel mettere su la lista, alcuni dei motivi della chiara sconfitta risultano evidenti.

Iglesias si è affrettato a dire che quando lui sarà presidente del governo «ci sarà un referendum in Catalogna», e che nelle elezioni generali il logo e il nome di Podemos saranno ben visibili. Intanto, il candidato nazionale di Izquierda Unida Alberto Garzón si è tolto qualche sassolino dalle scarpe, dichiarando che è «un fatto obiettivo e incontestabile» che Podemos abbia avuto un’alta visibilità in campagna elettorale. Ma ha voluto aspettare un dibattito più ampio per critiche e autocritiche più approfondite.

Vincitori e perdenti

Il Pp, che è passato da 18 a 11 seggi (da 472mila voti a 348mila), da parte sua rimane arroccato sulle proprie posizioni di anacronistica chiusura. Non sarà la maggioranza assoluta, ma è incontrovertibile che due milioni di catalani non vogliono essere spagnoli. Nonostante questo, il Pp chiude la porta a qualsiasi soluzione politica. E anche se la pressione per convocare quanto prima le elezioni generali si fa sempre più forte, Rajoy sembra intenzionato a resistere fino all’ultimo giorno della legislatura. I socialisti, anche loro ridimensionati (da 20 a 16 seggi, con 521mila voti, solo 3000 in meno che nel 2012: una sconfitta meno grave del previsto), intanto puntano a rompere il fronte indipendentista allettando Mas con il potere. Chiedendo di non allearsi con gli “antisistema” della Cup, il segretario nazionale Pedro Sánchez gli ha offerto di formare un «governo trasversale» a patto di rinunciare all’indipendenza.

Chi gongola sono intanto i veri vincitori: Ciutadans, che diventa il primo partito dell’opposizione nel Parlament catalano con i suoi 25 seggi (ne avevano 9 nel 2012: da 275mila voti a ben 735mila). L’ex leader catalano e ormai leader nazionale Albert Rivera a capo del movimento arancione ha annunciato che la «vecchia politica è morta». Le loro posizioni fortemente anti-indipendentiste e molto vicine a quelle del Pp in campo economico e sociale li rendono molto appetibili agli elettori di destra.
A meno di improbabili voltafaccia dell’ultimo minuto, a conti fatti Mas ha perso la scommessa su molti fronti. Primo, non sarà presidente: nascondersi al numero 4 della lista, e nascondere la consumata marca di Cdc, non gli è stato sufficiente.

Secondo, gli indipendentisti duri e puri si confermano un forte blocco di due milioni di persone: più o meno quelli che avevano votato nel famoso referendum reso illegale dal governo di Madrid il 9 novembre scorso. Molti, ma troppo pochi. E ultimo, perché con questo scenario politico, difficilmente potrà mantenere le grandi aspettative, che lui stesso ha contribuito a fomentare, su una rapida e indolore indipendenza catalana. Certamente però su un aspetto ha vinto: è riuscito a trasformare queste elezioni in un plebiscito. I catalani, che sono accorsi in massa alle urne, e tutti gli osservatori, a Madrid e a Barcellona, davano per buona la lettura indipendentista: oggi, il 47% dei catalani vuole l’indipendenza, e il 42% chiaramente no. Sono numeri da cui non si potrà più nascondersi.