Non c’è niente di più difficile che essere una donna, ancor più se gitana: ma essere gitana e lesbica è praticamente impossibile. Lo dice Arantxa Echevarria, regista di Carmen y Lola che dopo il passaggio al Festival Mix di Milano – appena concluso – arriva in sala. La storia è semplice, due ragazze si incontrano, si piacciono, si innamorano ma il loro desiderio va a scontrarsi con tutto quanto le circonda a cominciare dalla cultura patriarcale che governa rigidamente la comunità a cui appartengono.

CARMEN (Rosy Rodriguez) in particolare ha un futuro già scritto: sposarsi e fare molti figli servendo il marito di turno – e poco importa se lo ama o no. Lola (Zaira Morales) invece cerca sottrarsi opponendo a quello che gli altri vogliono per lei le proprie scelte, sogna di andare all’università e intanto disegna graffiti sui muri. È davvero impossibile vivere la propria vita? Echevarria – che col film presentato lo scorso anno a Cannes ha vinto due premi Goya – si è ispirata a un avvenimento reale, una coppia di gitane che si sono sposate qualche anno fa a Granada, e da lì si è avventurata in una cultura a partire dalle sue protagoniste che mantengono sempre il centro della narrazione.

C’è forse un eccesso di semplificazione insieme a qualche ingenuità ma la regia che tiene fermo il suo obiettivo sulle ragazze e sui loro sentimenti si sottrae ai luoghi comuni con cui spesso si parla dei rom. Echevarria ne racconta le abitudini, le tradizioni, la vita quotidiana, le fantasie delle adolescenti, le loro passioni e anche quei genitori che le obbligano all’obbedienza non sono soltanto «cattivi» specie le madri che se da un lato appoggiano gli uomini dall’altro cercano anche di aiutare le proprie figlie. E quando il racconto sembra impigliarsi senza sorprese nella sua programmaticità, lo sguardo della regista riaffiora grazie appunto alle ragazze, nella rabbia di Lola e nel suo dolore, in quello scontro continuo con una realtà che sembra senza orizzonti.