In Venezuela, il Tribunal Supremo de Justicia (Tsj) ha assunto la totale competenza delle funzioni parlamentari per la situazione di desacato (ribellione) in cui versa l’Assemblea nazionale (An). Così il presidente Maduro dovrà rendere conto direttamente al Tribunal. È indubbiamente una scelta grave, un ulteriore avvitamento drammatico per un Paese in cui i poteri istituzionali si pongono sul terreno dello stesso scontro diretto proposto dall’opposizione. E che così rischia il precipizio della guerra civile. Mentre sembrano fallire le mediazioni volute da papa Bergoglio e dall’Onu.

Conviene, però, toccare due punti. Il primo riguarda l’abito con cui si guarda ai paesi del sud, alle loro istituzioni, ai modelli di partecipazione e gestione della cosa pubblica. Sono validi e titolati quanto i nostri, tantopiù se, nel cuore del primo mondo, le alchimie istituzionali servono a perpetrare o aggiungere nuove esclusioni, esautorando referendum sui beni comuni, imponendo norme capestro (pareggio in bilancio) che bandiscono le possibilità di welfare, e via discorrendo. Per quel che riguarda il Venezuela – e in parte anche l’Ecuador e la Bolivia, fermo restando le diverse storie e i contesti – dopo le vittorie elettorali di governi che si richiamano al «socialismo del XXI secolo» (cioè senza «dittatura del proletariato» di leniniana memoria), si sono discusse e approvate nuove Costituzioni.

Quella del Venezuela – declinata nei due generi e con un fortissimo accento su diritti umani e ambiente – prevede una repubblica presidenziale basata sull’equilibrio di cinque poteri, di cui il Tsj è l’ago della bilancia che evita il predominio di uno sugli altri. Il Parlamento è uno di 5 poteri e non può, come gli altri, rompere l’equilibrio. Il presidente ha prerogative simili a quelle esistenti negli Usa. Quella venezuelana non è quindi una democrazia rappresentativa, ma si definisce «partecipativa e protagonista». La Costituzione vieta di agire in favore di potenze straniere, sia militarmente che economicamente. A garanzia e difesa, è chiamata ancora una volta la cittadinanza, insieme alle Forze armate (l’Unione civico-militare), che hanno assoluta vocazione di pace e compiti più sociali che militari. Il primo dato è che il Parlamento, a maggioranza di opposizione, ha vinto dopo un’accesa campagna elettorale in cui le destre avevano promesso di cacciare il chavismo in 6 mesi e di azzerare tutte le leggi contro la proprietà privata e l’integrazione regionale. L’An ha così cominciato ad approvare leggi a favore delle immobiliari, delle grandi imprese, contro i medici cubani, eccetera. L’esecutivo le ha rinviate al Tsj, che le ha ritenute contrarie alla costituzione e bocciate. Soprattutto, però, il Tribunal è intervenuto a seguito dell’assunzione di incarico di tre deputati dello stato Amazonas, eletti con frode, ma confermati dall’Assemblea. Da lì il braccio di ferro e lo scontro di poteri per riportare indietro l’orologio democratico in Venezuela. Intanto, quasi ogni giorno, l’ex presidente del Parlamento, Ramos Allup, si abbandonava alla violenza sessista verbale contro il Tsj (governato da donne) definendolo un «bordello gestito da quattro streghe». Obiettivo dichiarato, quello di convocare una nuova assemblea costituente per riportare il modello a quello della democrazia rappresentativa. Un «invito» emesso anche l’anno scorso dall’Osa, e ripetuto in questi giorni con la minaccia di Luis Almagro (il Segretario) di sospendere il Venezuela dall’organismo se non si fosse cambiato il modello (potere al parlamento). Nonostante fosse stato pattuito nel dialogo in corso sotto l’egida di papa Bergoglio e della Unasur, l’Assemblea ha continuato a legiferare: a votare l’impeachment per Maduro non contemplato dalla Costituzione, e a chiedere alle Forze armate di rivoltarsi contro il governo. Infine, ha chiesto ufficialmente a Trump, agli anticastristi del Congresso Usa e ad Almagro che li appoggia, di sanzionare il proprio paese e di adottare il «modello libico». Richiesta approvata dal Parlamento. Per la costituzione bolivariana, un atto di tradimento. E che, data anche la natura golpista dell’opposizione venezuelana (colpo di stato contro Chavez nell’aprile del 2002), potrebbe portare alla guerra civile.

Il secondo punto riguarda la natura di classe dello scontro politico, nel paese e a livello internazionale. Dopo l’aggressione a Iraq, Afghanistan, Libia, i golpe istituzionali in America latina, possiamo essere sufficientemente avvertiti sull’uso politico delle istituzioni internazionali e delle feroci ingiustizie che possono avallare. Altrettanto chiaro appare l’uso dei media privati nella costruzione di menzogne che preparano le guerre. Basta seguire gli interventi dei paesi neoliberisti e la doppia morale di Almagro all’Osa per rendersene conto. Per la prima volta, i paesi progressisti avrebbero voluto discutere delle norme xenofobe di Trump e del suo Muro, degli omicidi di ambientalisti e giornalisti in Messico, in Colombia, ma niente. E mentre l’Onu pone il Venezuela fra i paesi meno disuguali al mondo e lo «promuove» sui diritti umani, Trump e Almagro vogliono sanzionarlo. Vale ricordare che, nel 1962, l’allora presidente del Venezuela Romulo Betancour (beniamino degli Usa) sciolse il Parlamento e mise fuorilegge i deputati della sinistra, poi perseguitati e torturati. Era una democrazia rappresentativa, nata dal patto di Puntofijo. L’Osa non disse niente. In compenso, venne espulsa Cuba.