Da quando l’attrice Asia Argento ha denunciato sul New Yorker il suo stupratore, un potente produttore di Hollywood, si è verificato qualcosa di straordinario. Intanto altre vittime dello stesso uomo hanno parlato, scoperchiando un sistema corrotto.

Un sistema ben radicato e ben corazzato, nel quale tutti sapevano e nessuno parlava, alcuni venivano pagati per tacere, altri ancora per insabbiare.

Ma soprattutto è successo che l’onda di parole femminili, di rivelazioni, di racconti di violenze, stupri, molestie, ricatti, abusi di potere non si è fermata a Hollywood e agli Usa. Con l’hashtag #metoo (anche io, è successo anche a me) centinaia di migliaia di donne e ragazze sui social media hanno strappato il sipario e rivelato la scena di una sopraffazione maschile raccapricciante e estremamente diffusa.

Il dato certo non è nuovo, ma è nuovo questo impetuoso movimento di massa che attraversa gli oceani e sbatte in faccia agli uomini e al potere la loro responsabilità e il disgusto che ne accompagna i comportamenti violenti, con la ferma intenzione di dire basta e di mettere fino a tutto questo.

Come è possibile, allora, che la politica e le istituzioni non reagiscano, tacciano davanti a questa enorme protesta?

Io non voglio tacere. Non solo perché sono ben consapevole che ogni testimonianza è vera e sofferta, ma anche perché sono certa, certissima, che qui si vede in trasparenza un nodo della crisi della rappresentanza politica. Un punto politico che tutte e tutti siamo chiamati a interrogare trovando le necessarie risposte.

In particolare parlo per me e per i miei compagni, quelli con i quali ho l’ambizione di costruire una realtà politica a sinistra del Pd che ascolti le proteste e le istanze di questo Paese.

Non possiamo farlo senza le donne, non possiamo farlo senza la forza femminile e senza la loro creatività, senza la capacità delle donne di rovesciare l’ordine del discorso corrente e di portare nel senso comune voci e istanze di enorme valore non ancora riconosciute.

Quello che scopriamo impiegando anche solo mezzora a leggere ciò che viene raccontato con l’hashtag collettivo #metoo (in Italia anche #quellavoltache) è il risultato di un odioso abuso di potere sul lavoro, nella scuola, nelle nostre città, nei servizi pubblici, nelle famiglie.

In ogni parte del mondo, in ogni contesto sociale e culturale. Ovunque le donne vengono valutate di meno, pagate di meno, occupate di meno, ricattate di più. Donne che tacciono per paura di perdere il lavoro, di vedere schiacciati i loro sogni, di non essere credute, di essere insultate e disprezzate come succede in questi giorni alla coraggiosa Asia Argento.

Queste donne non si fidano di noi e non si fidano delle istituzioni: non delle forze dell’ordine, non della magistratura, non delle loro comunità. Temono di ritrovarsi sul banco degli imputati al posto del carnefice. Temono che il provvedimento di tutela e giustizia che chiedono e che spetta loro arriverà troppo tardi per salvarle. Temono che non arriverà mai.

Sono preoccupate di vedere le loro figlie passare attraverso lo stesso inferno e la stessa gogna. Sono sfiduciate, non credono che la cultura patriarcale cambi, e che la politica faccia la sua parte per accelerare questo cambiamento.

A questo bisogna mettere riparo, al più presto. E con il femminismo, con le associazioni di donne, con le rappresentanze sindacali che si impegnano ogni giorno con le lavoratrici, dobbiamo aprire subito un confronto. Essere disponibili ad ascoltare un linguaggio che non conosciamo abbastanza, a riconoscere un sistema etico e di valori che non abbiamo saputo assimilare e che, sbagliando, consideriamo altro da noi.

Se non faremo questo, metà del mondo sarà fuori dal nostro raggio d’azione, dunque la nostra azione non sarà efficace. E non sapremo rappresentare la parte del paese che non trova più ascolto nella politica e nelle istituzioni, perché le donne ne occupano il centro, e non da ieri.

* L’autrice è presidente dei senatori Mdp