Un balletto parlamentare. Il decreto di salvataggio sulle banche venete ha finito ieri il suo esame da parte della commissione Finanze della Camera. Ma con tutta probabilità ci tornerà già martedì.
La conversione in legge del provvedimento che consente a Intesa San Paolo di comprarsi Veneto Banca e Popolare di Vicenza ad un solo euro, lasciando alla bad bank statale tutti i crediti deteriorati al momento non è stato praticamente modificato dal parlamento. Nonostante le polemiche, le richieste di maggiori tutele per i risparmiatori, la delicatezza della materia – figlia di un accordo preventivo con la Commissione europea – fa del decreto un cristallo delicato che viene maneggiato con paura anche da chi vorrebbe cambiarlo.
E così ieri il presidente centrista della commissione Finanze Maurizio Bernardo si è affrettato a spiegare:«Come annunciato martedì scorso in ufficio di presidenza, la discussione si è chiusa alle 17 con l’assegnazione del mandato al relatore e l’invio del testo all’Aula. Ci sono diversi emendamenti accantonati tra cui quello del relatore (il Pd Giovanni Sanga, ndr), per cui, in aula, molto probabilmente sarà chiesto il rinvio del testo in Commissione», ha aggiunto. «Nell’ambito di quanto concordato con le istituzioni europee, si cercherà di approvare alcune modifiche nell’interesse dei risparmiatori e del loro ristoro», ha concluso Bernardo.
Insomma, niente modifiche, se non concordate con Bruxelles. E con la stessa Intesa che prima della pubblicazione del decreto aveva avvertito (o minacciato) i parlamentari: «Il contratto di acquisto include una clausola risolutiva nel caso in cui il decreto legge contenga più oneri per Intesa Sanpaolo».
Ieri Padoan ha nuovamente rassicurato l’Europa. Con l’accordo per il salvataggio di Mps e delle banche venete si sono chiusi i «focolai di crisi», «fiducioso» che anche l’approvazione del decreto si possa chiudere rapidamente e senza sostanziali modifiche. Dall’altro lato arriva invece l’affondo di Jeroen Dijsselbloem, il presidente dell’Eurogruppo che imputa proprio al «sistema politico italiano» la responsabilità di essere il freno alle riforme del sistema delle banche, aggiungendo peraltro che proprio i principi del bail in, che per Deutsche Bank sono stati «aggiratì dall’Italia, hanno bisogno «di ritocchi significativi». La soluzione trovata dalle autorità europee insieme a Roma per le banche venete sarà peraltro al centro della riunione dell’Eurogruppo di lunedì, al quale, in via eccezionale, parteciperà anche il commissario alla concorrenza Margrethe Vestager, autrice dell’accordo.
La manovra a tenaglia contro le modifiche fa sì che non a caso le critiche più feroci al testo non sono venute da un non parlamentare: Michele Emiliano. Il presidente della Puglia ha definito più volte il testo «invotabile» e ieri ha chiesto: «Perchè non tutelare anche gli obbligazionisti secondari che hanno sottoscritto obbligazioni dopo il 2014 cioè dopo l’intervento del fondo Atlante e dopo che il governo aveva rassicurato il mercato sulla solidità di alcune delle banche di cui il decreto si occupa?».
Sulla stessa posizione anche il M5s che ieri ha denunciato come «una vergogna di proporzioni mai viste» il fatto di non aver modificato il decreto specie riguardo alle il tema delle azioni di responsabilità: «Contro i manager colpevoli chiediamo azioni di responsabilità automatiche e contestuali alla liquidazione, non opzionali».
Le posizioni nella maggioranza sono molto critiche ma sia Mdp che i centristi hanno già annunciato che voteranno a favore della fiducia che il governo ha già annunciato: si vedrà su quale testo, però. Nessuno mette in discussione i 5 miliardi di soldi pubblici spesi: quelli rimarranno certamente.
Gli unici sicuri di pagare sono come al solito i lavoratori: 3.900 esuberi per le 600 filiali chiuse, anche della stessa Banca Intesa. Ieri il primo incontro fra sindacati e Intesa si è delineato solamente il cronoprogramma dei negoziati, che avverranno in più tempi.