La British Exit continua a mietere cifre, anche in questa fase tardo-estiva e con il parlamento britannico nel cosiddetto summer recess.

Ieri sono usciti nuovi dati sul flusso d’ingresso in Gran Bretagna di cittadini dell’Ue in cerca di lavoro e perdura la ridda di indiscrezioni su come cambieranno le condizioni di chi già ci vive, oppure ha scelto/non ha altra scelta, che trasferirvisi.

Secondo l’agenzia governativa Office for national statistics, l’immigrazione netta (la differenza tra chi entra e chi esce) nel paese ha subito un rallentamento pur continuando a salire nei dodici mesi successivi al referendum.

Tra aprile e giugno vi erano due milioni e 370mila lavoratori dell’Ue impiegati nel paese, una cifra che supera di 126mila unità quella dello stesso periodo dell’anno scorso (comprendente il voto per la Brexit del 23 giugno) e la più alta di sempre.

Sono lavoratori dell’Europa orientale, soprattutto Romania e Bulgaria – entrate nell’Ue nel 2014 – a mantenere il tenore, compensando così il calo dai veterani dell’Unione come Francia, Germania, Spagna e Italia.

Lo slogan take back control, riprendiamo il controllo, suona sempre più vuoto dopo la notizia che i cittadini dell’Ue potrebbero entrare nel paese senza visti o controlli di frontiera.

Chi vorrà lavorare potrà richiedere un permesso tramite l’azienda o l’università che intende impiegarlo o iscriverlo. Resterebbe però in questo caso la cosiddetta «porta di servizio», sorta d’ingresso secondario attraverso l’Irlanda del Nord, giacché la reintroduzione di un confine «duro» fra questa e la Gran Bretagna è fuori discussione.

Intanto, secondo Sky News, alcuni ministri si sarebbero lasciati sfuggire che la seconda tranche delle trattative con Bruxelles, prevista per ottobre, slitterà probabilmente a Natale.