I 27 accettano la richiesta britannica di «estensione» dell’articolo 5, ma «sotto condizioni» e non alla data richiesta dalla premier britannica Theresa May. Encore un moment Monsieur le bourreau, Theresa May nei panni di Madame du Barry ha chiesto tre mesi di buono, ma il Consiglio europeo ha discusso per ore: sul tavolo l’ipotesi di concedere solo fino al 22 maggio, cioè la vigilia dell’inizio della tornata elettorale per le europee (23-26 maggio) è stata criticata da Francia e Belgio, perché troppo a rischio. Preferiscono una data anticipata, il 7 maggio (vigilia dell’8, giorno feriale – per evitare crack in Borsa – che celebra la fine della seconda guerra mondiale, mentre il 9 è previsto un vertice in Romania, a Sibiu, per discutere del futuro dell’Europa a 27). La Ue potrebbe poi concedere un’estensione fino a fine anno, sempre che ci siano garanzie di approvazione dell’accordo con la Ue per una soft Brexit. La Ue non chiederebbe così a Londra di approvare l’accordo raggiunto dopo più di due anni di negoziato, prima della data-limite del 29 marzo a mezzanotte. Un accordo già bocciato due volte a Westminster. Ieri è stata ventilata anche l’ipotesi di un Consiglio europeo di nuovo tra una settimana, giovedì prossimo, per ratificare l’estensione al 22 maggio, nell’eventualità di un voto a Westminster, positivo.

La data del 7 maggio è per evitare che un no deal cada come una scure alla data prevista, tra 8 giorni. La Ue resta prigioniera della Brexit e vuole sbarazzarsi di questa ipoteca, mentre premono altre esigenze: oggi, il Consiglio discute di politica industriale e soprattutto di rapporti con la Cina, delle richieste di «reciprocità» a Pechino, mentre il fronte europeo di spacca, con l’Italia sovranista che pensa di poter negoziare da sola con Pechino, firmando il Memorandum per l’adesione alla Belt and Road Initiative.

Sulla procedura della Brexit, due esigenze si oppongono: a Londra, May ha ancora bisogno di tempo, nell’impossibilità di conciliare il divorzio dalla Ue con gli interessi intrecciati da ormai vari decenni, per non parlare del rischio Irlanda, che può riaprire un capitolo di guerra, chiuso a fatica nel 1998 dopo decenni di scontri. La Ue non ha potuto accettare l’ultima richiesta di May: rimandare ancora il Brexit, per tre mesi, fino al 30 giugno, cioè a due giorni dalla prima riunione del nuovo Europarlamento. Ci sono le elezioni europee. I giuristi della Commissione hanno avvertito che ci sarebbero grossi «rischi» in caso di un divorzio dopo la data delle elezioni, senza che la Gran Bretagna vi partecipi: i Trattati stabiliscono che tutti i pesi membri votano per le europee, e se non è il caso le decisioni del futuro Europarlamento potranno essere contestate.

«Theresa May ha chiesto, in caso di voto positivo al parlamento britannico (dell’accordo con la Ue), un prolungamento tecnico – ha detto il presidente francese Emmanuel Macron – il più corto possibile. Dobbiamo essere chiari: l’accordo dopo due anni di negoziato non può essere rivisto. Se no, andiamo verso un no deal». Per il primo ministro lussemburghese, Xavier Bettel, stiamo «aspettando il Brexit come si aspetta Godot» (che del resto non è mai riuscito ad andarsene). Angela Merkel non si rassegna. La cancelliera ha parlato di «svolta politica storica» e ha invitato tutti ad «avanzare con prudenza».

A Bruxelles, il leader laburista Jeremy Corbyn ha incontrato il negoziatore Ue Michel Barnier. Corbyn ha ripetuto che non intende cancellare il Brexit: «Faremo il possibile contro il no deal, ma rispettiamo il risultato del referendum». In Gran Bretagna, una petizione per l’abolizione dell’articolo 50, cioè la rinuncia alla Brexit, ha raccolto più di un milione di firme in poche ore (dovrebbe superare i 17,4 milioni di voti per il leave al referendum del giugno 2016).