Alckmin vattene. No all’aumento del biglietto. No alla repressione. Libertà per i manifestanti detenuti. Sono gli slogan che risuonano per le vie del Brasile dopo l’aumento del prezzo dei trasporti annunciato dal governo. Dal 16 – inaugurazione della Coppa delle confederazioni, preludio ai Mondiali di calcio che il paese ospiterà nel 2014 – la popolazione è scesa in piazza a Brasilia e in una ventina di altre città: contro gli sprechi, la corruzione e il carovita. La più importante mobilitazione da vent’anni a questa parte. La presidente Dilma Rousseff, succeduta a Lula da Silva, ha subito teso la mano al movimento, che ha incassato una prima vittoria. L’aumento del biglietto è stato revocato in almeno sei città: a cominciare da San Paolo, dove il contestatissimo governatore Geraldo Alckmin, conservatore e autoritario, è stato ridotto a più miti consigli e ha annunciato che il prezzo dei trasporti tornerà quello di prima. Stesso annuncio anche da parte del socialista Eduardo Campos, probabilmente candidato alle presidenziali del 2014, nel nord-est povero. “Abbiamo deciso di abbassare i prezzi per favorire il dialogo – ha affermato Campos – siamo consapevoli dell’esistenza di un malcontento generale”.

Le manifestazioni però continuano in più di 70 località del Brasile. Si sono verificati nuovi scontri tra manifestanti e corpi speciali di polizia in tenuta antisommossa. L’altro giorno, il governo ha infatti deciso di fare appello alle squadre d’élite della Forza nazionale e di inviarle in cinque delle sei città in cui si svolge la Coppa di calcio delle Confederazioni: “Avranno però un compito di mediazione”, ha spiegato Rousseff. A Fortaleza, dove il Brasile ha incontrato il Messico, le manifestazioni si sono svolte nei pressi dello stadio. Per disperdere le proteste (circa 30.000 persone) la polizia ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Alcuni video, molto gettonati su You Tube, mostrano invece poliziotti che si uniscono ai manifestanti, a San Paolo come a Rio de Janeiro: “Servire un governo simile? Mi vergogno”, dice uno gettando via l’arma.

A Dilma Rousseff – la prima donna presidente del Brasile – e al suo Partito del lavoratori (Pt) si rimproverano le spese faraoniche in vista dei Mondiali, a scapito della qualità dei servizi sanitari e educativi, e la gigantesca corruzione, vero buco nero delle risorse statali.

Il costo dei mondiali ammonta a 13.000 milioni di dollari, quello per costruire stadi moderni a 3.500 milioni: “Vogliamo scuole moderne come stadi”, gridano perciò i manifestanti. E un sondaggio dell’Istituto Ibope dice che il 94% dei brasiliani ritiene “legittime” le loro proteste e le appoggia. La presidente Rousseff, invece – sempre secondo l’inchiesta – ha perso 8% punti in popolarità negli ultimi mesi. E la sua coalizione di centrosinistra, al governo dal 2003, è chiamata a rispondere su ritardi e timidezze rispetto ai piani di riforme promessi, da rinnovare in vista delle presidenziali di ottobre 2014.

La Federazione internazionale del football (Fifa) ha mantenuto un atteggiamento cauto. Il suo presidente Joseph Blatter, da una parte ha invitato i manifestanti a “non usare il calcio per farsi ascoltare”, dall’altra ha però sostenuto di capire “che la gente non sia contenta”. Sono intervenuti anche i calciatori. Pelé, la leggenda del calcio brasileño, ha invitato i manifestanti a dedicarsi al tifo e non alla protesta: “Dimentichiamo tutto questo disordine che scuote il Brasile, tutte queste proteste e ricordiamoci che la squadra brasiliana è il nostro paese e il nostro sangue”, ha detto Pelé, ricevendo una valanga di insulti su twitter. Altre stelle del football come Neymar, David Luiz o Hulk hanno invece espresso pubblicamente il loro appoggio alle proteste: “Mi dispiace che per chiedere miglior educazione, casa e salute sia necessario manifestare”, ha scritto Neymar. Negli stadi, incuranti del divieto della Fifa, molti tifosi hanno sostenuto le proteste, alcuni cartelli dicevano: “Brasile svegliati, un professore vale più di un Neymar”.