Vigilia di bombe per l’equipaggio della prima nave ucraina che oggi dovrebbe lasciare il porto di Chornomorsk, poco a sud di Odessa. Ieri, infatti, dei caccia russi in volo sul Mar Nero hanno sganciato oltre 30 missili sulle coste delle regioni di Odessa e Mykolayiv fin dalle prime luci dell’alba.

LA PRIMA segnalazione è venuta data dallo stesso presidente Zelensky attraverso un video che mostrava diversi edifici distrutti a Zatoka, nei pressi del ponte che collega il grosso del territorio ucraino alla Bessarabia e alla Romania. Qualche ora dopo altri missili sono caduti lungo la costa, proprio tra i due porti di Chornomorsk e Yuzhne che sono stati indicati nell’accordo di Istanbul come luoghi di partenza (insieme al capoluogo Odessa) delle navi contenenti il grano ucraino diretto in Turchia. Sembra che nella regione di Odessa non siano state colpite delle strutture strategiche mentre a Mykolayiv, secondo il governatore Vitaly Kim, «sono state colpite le infrastrutture portuali, un ponte ferroviario e alcune fabbriche private, oltre alle aree suburbane».

ALCUNI MISSILI sarebbero stati intercettati dalla contraerea di Kiev che però non è stata sufficiente a fermare la pioggia di tritolo lanciata dai Sukhoi del Cremlino. Al momento non ci sono dati ufficiali sulle vittime e i feriti e, data l’importanza strategica degli obiettivi colpiti, le fonti ucraine stanno tenendo il massimo riserbo sull’accaduto.

IL MINISTRO delle infrastrutture di Kiev, Oleksandr Kubrakov, aveva fatto sapere che, nonostante l’attacco di sabato a Odessa, le esportazioni di grano sarebbero iniziate oggi da Chornomorsk e poi sarebbero proseguite dai porti di Odessa e Pivdennyi, ma il presidente Zelensky aveva subito chiarito che con questi attacchi il Cremlino «metteva a rischio» l’attuazione dell’accordo. D’altronde il ministro degli esteri di Mosca, Sergej Lavrov, durante il suo tour africano, aveva specificato che «non c’è nulla nell’accordo sull’esportazione del grano dai porti ucraini che impedisca alla Russia di continuare la sua ‘operazione speciale’ e di colpire obiettivi militari».

PER QUESTO, sempre Zelensky ha ricordato ieri agli alleati dell’Ucraina che spetta a loro garantire la sicurezza delle navi con il grano. Saranno fischiate le orecchie al presidente turco Erdogan, il quale ieri ha esortato i firmatari dell’accordo a «rispettare i propri obblighi». Erdogan ha inoltre ammesso che l’attuazione dell’intesa si è rivelata un «processo delicato». Strana formula, non c’è che dire, soprattutto se si pensa che un leader così attento alle mosse dei suoi vicini come Erdogan non poteva credere che sarebbe stato semplice. Chissà se discuterà anche di questo con Vladimir Putin il 5 agosto, data in cui, secondo l’agenzia nazionale turca Anadolu, Erdogan dovrebbe volare a Sochi per incontrare il suo omologo.

ANCHE DA WASHINGTON, il portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price, aveva dichiarato che «l’attacco sfacciato» della Russia a Odessa mina la credibilità degli impegni assunti dalla Russia e che, ciononostante, «l’accordo deve durare» per alleviare la crisi della sicurezza alimentare globale.
Intanto, i prezzi del grano sono già aumentati. I futures sui cereali sono aumentati del 4% attestandosi a 7,86 dollari al barile. Tra i Paesi che stanno soffrendo maggiormente per il blocco delle esportazioni di grano ci sono quelli africani che, in alcuni casi (come nel Corno d’Africa e nel Maghreb), dipendono dai cereali ucraini per oltre il 70% del proprio fabbisogno.

NON È UN CASO che Lavrov abbia scelto proprio l’Africa per il suo ultimo viaggio diplomatico. La difficoltà di reperire la preziosa materia prima ha determinato aumenti molto significativi nel costo dei generi primari al dettaglio. Come, ad esempio, sta succedendo in Tunisia, dove il rincaro ha dei generi alimentari sfiora il 20%.