Sono manager attenti quelli della Schlumberger Limited, la più grande società per servizi petroliferi al mondo. Da Houston, in Texas, gestiscono 115.000 dipendenti di oltre 140 nazionalità, che lavorano in oltre 85 paesi (gli uffici della filiale italiana stanno a Ravenna). Sono manager attenti, quelli della Schlumberger, a sfruttare, per incrementare il loro business, ogni smagliatura del sistema di tutela ambientale. In Italia, ad esempio, si sono infilati al volo nel varco aperto, nel settembre del 2013, dal governo Letta. In quella data il Parlamento approvò un decreto del ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, che aveva come obiettivo dichiarato quello di regolamentare le trivellazioni a largo delle coste italiane finalizzate alla ricerca di giacimenti petroliferi sottomarini.

Ed effettivamente il decreto riduceva la superficie complessiva delle aree trivellabili, ma solo per il futuro, dal momento dell’approvazione parlamentare in poi. Per il passato, confermava il nefasto articolo 35 della legge numero 8 del 2012, quella che il governo Monti aveva pomposamente presentato alle camere come «Decreto per lo sviluppo». C’era tanta carne al fuoco lì dentro, compreso, appunto, l’articolo 35, una misura che, in nome della crescita da rilanciare, riportava le piattaforme petrolifere sotto le spiagge italiane, autorizzando perforazioni ed estrazioni entro le dodici miglia dalla costa.

Ai manager della Schlumberger, ovviamente, la cosa non poteva sfuggire. Senza perdere tempo presentarono alcuni progetti di rilevazioni petrolifere, il più imponente dei quali è quello che rischia di realizzarsi davanti a buona parte del litorale occidentale della Sardegna, da Alghero a nord sino a San vero Milis a sud, passando per Villanova Monteleone, Bosa, Magomadas, Cuglieri e Narbolia. Un’area marina di 20.922 chilometri quadrati. Il colosso texano ha già presentato al ministero per lo Sviluppo economico una richiesta di valutazione di impatto ambientale.

Se da Roma dovesse arrivare un parere positivo, le rilevazioni potrebbero partire dalla fine di questa estate. Un lavoro che sarebbe realizzato utilizzando l’ultimo ritrovato tecnologico in materia: l’airgun. Ovvero una gigantesca “pistola” che spara nelle profondità marine una paurosa quantità di aria compressa, la quale raggiunge il fondo del mare e poi manda indietro un “rimbalzo” acustico dalla cui intensità è possibile capire se negli abissi così “bombardati” si nasconde il prezioso oro nero.
Tra le aspettative di profitto dei clienti della Schlumberger (le più importanti compagnie petrolifere mondiali) e la loro concreta realizzazione si sta però frapponendo, in queste settimane, l’opposizione forte e determinata sia delle popolazioni locali sia di un nutrito fronte ambientalista. Tutti i sindaci della zona interessata hanno chiesto al ministero dell’Ambiente e a quello dello Sviluppo economico di fermare la Schlumberger. Gli amministratori sono preoccupati soprattutto delle ricadute negative che l’attività di rilevazione potrebbe avere nell’immediato sul turismo, uno dei pochi settori economici che in Sardegna ancora reggono. Per non parlare poi di quello che potrebbe accadere all’industria della vacanze se, in una fase successiva, al largo di spiagge candide e di mari cristallini si sollevassero i fuochi e i fumi delle piattaforme di estrazione del petrolio.

Gli ambientalisti sono invece interessati all’impatto che le bombe d’aria compressa avrebbero sull’ecosistema di una zona di mare, quella che va dalla costa occidentale della Sardegna sino alle Baleari, che è nota come «la via dei delfini e delle balene», rotta di transito di due specie già minacciate da altri pericoli e sotto la tutela di precise normative internazionali.
«È ora di dire basta a un’inutile corsa al petrolio – dice Serena Carpentieri, la portavoce di Goletta Verde che nei giorni scorsi è approdata sulle coste sarde – Già oggi le aree interessate dalle attività petrolifere occupano una superficie marina di circa 24mila chilometri quadrati, un’area grande come la Sardegna. Le quantità di petrolio stimate sotto i mari italiani sono di appena dieci milioni di tonnellate e, stando ai consumi attuali, si esaurirebbero in soli due mesi.

Rilanciare l’estrazione di idrocarburi nel Mediterraneo e aprire alle compagnie petrolifere la zona tra la Sardegna e le Baleari, sono scelte frutto di una strategia insensata, che fa soltanto gli interessi della compagnie petrolifere, non garantisce nessun futuro energetico al nostro paese e incrementa i rischi e i danni per il mare e per l’ambiente». «Dopo Monti e Letta – aggiunge Carpentieri – anche l’attuale governo si mette su questa strada scellerata. Nelle ultime settimane il ministro per lo sviluppo economico, Federica Guidi, ha confermato più volte la necessità di puntare sui giacimenti di petrolio nazionale e di sbloccare le attività estrattive, tra cui le numerose richieste off-shore che oggi, sui tavoli del ministero, attendono di andare avanti. E’ perciò che abbiamo deciso di assegnare a Guidi la nostra “Bandiera nera 2014″».

«Questa classe dirigente – conclude la portavoce di Goletta Verde – sta andando verso il ventunesimo secolo con gli occhi rivolti al secolo passato. Nonostante i numeri dimostrino l’assoluta insensatezza di continuare a puntare sul petrolio, si sferra un attacco senza precedenti alle risorse paesaggistiche e marine italiane ad esclusivo vantaggio delle compagnie petrolifere. Le realtà locali restano succubi di queste scelte dissennate: regioni, province e comuni sono tagliati fuori da ogni decisione. E il futuro, la bellezza, l’economia del nostro paese sono svenduti per pugno di taniche».