Domenica sera John Bolton, il consigliere di Trump per i rapporti con la Russia, è sbarcato a Mosca.  La visita era programmata da tempo ma le indiscrezioni del New York Times (confermate in parte da una dichiarazione dello stesso presidente americano in Nevada) sull’intenzione dell’amministrazione Usa di voler ritirare il proprio Paese dall’accordo sottoscritto nel 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbaciov che imponeva ai due Stati la distruzione dei missili balistici a medio e corto raggio, ha reso quello di Bolton non certo un viaggio di routine. Sarebbe stato del resto proprio Bolton, secondo quanto afferma The Guardian, ad aver consigliato la mossa a Trump.

IERI SERGEY LAVROV, il ministro degli esteri russo, prima d’incontrare il politico americano è parso guardingo: «Non siamo interessati alle intenzioni di Trump ma solo alle sue decisioni e finora sulle nostre scrivanie non sono giunte dichiarazioni ufficiali» ha dichiarato Lavrov. Mosca sembra continuare a seguire una chiave interpretativa della politica estera di Trump tutta piegata alle esigenze interne: le sue prese di posizione nei confronti della Russia sarebbero influenzate dalla lotta politica in America, e in particolare ora, dagli ultimi frenetici giorni della campagna elettorale di midterm in cui i due storici partiti americani stanno giocando a chi è più anti-russo. Una vittoria o almeno un pareggio dei repubblicani nelle elezioni di novembre, si auspica al Cremlino, potrebbe riportare il dialogo tra i due paesi su binari più soft.

IERI BOLTON HA INCONTRATO Nikolay Patrushev, il direttore del Fsb, e il capo della diplomazia Lavrov, ma non Putin che dovrebbe invece vedere oggi, forse per annunciare in prima persona la cattiva novella del ritiro dall’accordo. Tuttavia al Cremlino si spera ancora che la partita della denuncia del trattato resti aperta. Lavrov in conferenza stampa si è premurato di ricordare come nel Congresso più di un deputato americano sia scettico sulla scelta di Trump e che ci si potrebbe trovare di fronte «solo a un forte richiamo alla Russia» non con l’obbiettivo di uscire dal trattato, ma piuttosto di emendarlo.

In particolare Lavrov ha sottolineato come il repubblicano Bob Corker l’altro ieri avesse fatto in merito dichiarazioni distensive.«Forse è come quando volevamo ritirarci dal Nafta, e alla fine abbiamo accettato di fare piccoli cambiamenti. Io lo spero» aveva affermato il senatore Usa alla Cnn.

Mosca può anche contare sulle reazioni negative, provenienti un po’ da tutto il mondo sulla decisione di Trump, anche se il tycoon americano non sembra preoccupato di restare isolato. Ieri l’Unione europea si è dichiarata – con Angela Merkel – «molto preoccupata» per la situazione che si potrebbe generare in seguito alla denuncia del trattato e sulla stessa lunghezza d’onda sono state le reazione di Cina e Giappone.

ANCHE LE REAZIONI IN RUSSIA alla possibile denuncia dell’accordo ovviamente sono state tutte di segno negativo. Alexey Pushkov membro del Consiglio della Federazione russa ha paventato scenari catastrofici. «Se gli Stati uniti abbandonano il trattato sui missili a medio e corto raggio e non rinnovano lo Staqrt-3, ci troveremmo in una situazione simile a quella che portò alla crisi dei missili a Cuba. Allora fummo tutti fortunati perché la guerra non ci fu, ma dio solo sa cosa potrebbe succedere la seconda volta» ha sostenuto il politico russo mentre era in visita a Belgrado.

IN RUSSIA intanto prosegue il dibattito sulle dichiarazioni di Putin rilasciate a Soci qualche giorno fa a proposito di un eventuale scontro militare nucleare con l’Occidente. Il presidente russo in quell’occasione aveva affermato che la Russia non possiede un piano di attacco preventivo contro chicchessia, ma uno di rappresaglia sicuramente sì. «In caso di attacco noi in quanto martiri finiremo in paradiso, invece loro semplicemente moriranno perché non avranno il tempo per pentirsi» aveva sostenuto con un po’ di sarcasmo. Ieri il suo portavoce Dmitry Peskov ha voluto chiarire il significato di quelle parole: non si trattava di una minaccia «ma solo di un’allegoria. Se saremo attaccati siamo pronti a difenderci» ha precisato Peskov.