L’America e il mondo continuano a prendere le misure al tiranno installato sul trono della maggiore superpotenza mondiale. Il delirio principale continua ad essere incentrato sugli aeroporti nazionali. Le porte d’America, sbattute sommariamente in faccia a viaggiatori, immigranti e profughi provenienti dai paesi «a rischio», permangono fulcro del caos e dei soprusi provocati dall’editto di Trump.

NEL FINE SETTIMANA negli scali sono discesi migliaia di contestatori in decine di città. A Chicago, Los Angeles , Boston, Seattle, Atlanta, Detroit, Portland e San Francisco migliaia di cittadini hanno urlato la propria indignazione per la sovversione di fondamentali principi umanitari e per l’arbitrarietà con cui è stata stracciata la costituzione e invertito lo spirito iscritto sulle tavole della statua della libertà. In decine di scali viaggiatori muniti di visti, certificati di asilo e perfino permessi di soggiorno permanenti – le famigerate green card – sono stati detenuti senza permesso di contattare legali o familiari. In molti casi sono stati confiscati loro i telefoni cellulari, altri sono stati ammanettati e obbligati a indossare le tute arancioni dei detenuti senza poter contattare parenti in vana attesa all’esterno.

INDICATIVE LE SCENE verificatesi all’aeroporto di Los Angeles dove domenica diverse migliaia di persone hanno invaso la sala arrivi denunciando rumorosamente le nuove regole di Trump. Fra di essi dozzine e dozzine di persone con cartelli che li identificavano come avvocati e invitavano eventuali parenti a rivolgersi a loro per assistenza legale.

A seguito di ricorsi presentati in diverse città, almeno quattro giudici federali si sono pronunciati con sentenze che avrebbero imposto agli agenti di frontiera, il Cbp (Customs and Border protection), di ammettere profughi già in transito e rilasciare persone detenute senza preciso motivo o concedere loro quantomeno accesso a legali. Nella generale costernazione il Cbp ha invece ignorato le direttive dei magistrati. «Non ci è permesso contattare i detenuti né viceversa» mi ha spiegato esasperato Michael Haggerty, un giovane avvocato nella sala arrivi di Los Angeles. «Rifiutano semplicemente di parlarci, in barba alle sentenze». A Washington Dulles tre parlamentari democratici non hanno avuto maggiore fortuna.

I deputati Gerry Connolly, Don Beyer e Jamie Raskin hanno chiesto di ispezionare i detenuti in aeroporto ma sono stati respinti dagli agenti della sicurezza. Un episodio «golpista» che ha bene illustrato la crisi costituzionale in cui l’esecutivo di Trump ha per ora chiaramente il sopravvento.

IL DECRETO ANTI MUSULMANO di Trump – fatta eccezione per i paesi in cui egli stesso ha interessi di affari – ha esplicitato agli americani attoniti tutto il peso di una demagogia populista fatta legge con tutto il peso di un governo con pochi scrupoli costituzionali.

Dopo il fallimento del sistema elettorale e l’impotenza istituzionale di fronte ai conflitti di interesse del presidente, la questione immigrazione avrebbe dovuto rappresentare un banco di prova concreto dei limiti giuridici posti allo strapotere di Trump.

Finora è stata invece l’ultima riprova della scarsa tenuta delle vantate garanzie istituzionali americane contro i colpi di mano di un tiranno malintenzionato.

LA DEMOCRAZIA è stata agevolmente scartata da un decreto contrario ai principi umanitari internazionali, che rappresenta un’inquietante prova per eventuali deportazioni di massa che molti temono possano essere il passo successivo.

L’ipotesi è sicuramente divenuta più plausibile con la nomina di Steve Bannon al Consiglio nazionale di sicurezza, il potentissimo organo che plasma aspetti cruciali dei politica estera americana e decide interventi militari e normalmente riservato ai capi di stato maggiore. La nomina è un’altra vittoria per la corrente nazional-populista che sta plasmando la strategia trumpista e che vede ora seduta nella stanza dei bottoni l’eminenza grigia della Alt-right.

STEVE BANNON, già manager della Goldman Sachs e produttore hollywoodiano, ha diretto Breitbart News il portale di riferimento per antiglobalisti rossobruni, complottisti e suprematisti bianchi. È generalmente considerata sua la strategia di disinformazione e «confusione generale» mirata a destabilizzare stampa ed istituzioni. Progetto che in questi giorni si è concretizzato in una raffica di tweet con cui Trump ha personalmente irriso e dileggiato gli avversari, osannato un America che «torna infine ad essere grande»affermando che combattere il terrorismo non è roba da femminucce.

Note di colore che celano l’amara gravità di una crisi che non ha precedenti nella democrazia americana, che oggi, con l’annuncio di un nuovo giudice reazionario per blindare anche la corte suprema, subirà un ulteriore colpo.

Il blitzkrieg trumpista alla democrazia ha provocato critiche anche da parte di alcuni esponenti repubblicani, principalemente John McCain e Lindsay Graham e quella all’immigrazione l’opposizione di Silicon Valley fra cui Elon Musk e Sergei Brin di Google. Ai premi SAG di Hollywood una star dopo l’altra ha denunciato Trump.

Ma in definitiva per ora le sorti del paese (e della stabilità mondiale) rimangono in mano soprattutto a quegli americani che dal giorno del suo insediamento manifestano in piazza il loro disgusto.