Internet ed il Web sono due tra le più grandi invenzioni del secolo scorso. Hanno cambiato il modo di fare informazione, ricerca e impresa. Ci offrono intrattenimento e ci permettono di coltivare relazioni.

Internet (1969) e il Web (1989) sono l’incarnazione del sogno della Biblioteca Universale, e ci permettono di accedere a una sconfinata quantità di conoscenze e di occasioni per arricchire il nostro spirito. Basta connettersi con un computer o uno smartphone e possiamo stare comodamente seduti e guardare le conferenze TED online o accedere al “juke box celestiale” grazie a un abbonamento musicale a costo fisso, e viceversa diffondere pensieri, parole, opere letterarie e scientifiche riducendo tempi e costi di pubblicazione.

Grazie a queste tecnologie stiamo sopportando gli effetti di una grave pandemia. Grande merito ce l’hanno avuto i social network che ci permettono di fare e rinnovare amicizie, progettare nuovi business e condurre campagne sociali o prendere posizione a favore dei diritti umani, delle comunità emarginate, dei più fragili.

Ma sono troppi gli utenti del Web che lo usano male.  La possibilità di dialogare alla pari con tutti ha prodotto una deriva per cui a troppi appare lecito insultare chiunque e pretendere, come dice il filosofo Maurizio Ferraris, di avere sempre ragione, assecondando un “istinto innato” (2017). Pescano nel senso comune frutto di conoscenze degradate e si atteggiano, in maniera violenta, a esperti o difensori della (loro) Verità.

Nel gergo di Internet queste persone erano conosciute come troll ma oggi si manifestano per quello che sono, fascisti, webeti e cyberbulli, propalatori di false informazioni. Sono ovunque, nella sezione dei commenti dei giornali online e dei blog.  Se c’è spazio per i commenti, indipendentemente dal contenuto, i troll, divenuti haters, saranno lì a frotte con i loro commenti scortesi, maleducati e irrispettosi.

Troveranno qualcosa di sbagliato in tutto e faranno il possibile affinché tu sappia delle loro opinioni negative per infettare come un virus la vita nel mondo reale, analogico, ormai interrelato e indistinguibile da quello virtuale delle nostre esistenze “onlife” come le chiama il professore di etica Luciano Floridi (2015).

Gli esempi delle loro aggressioni psicologiche, manifeste e mascherate, sono tantissimi, e i più giovani non ne sono immuni. Gli insulti sui gruppi di WhatsApp volano a grappoli, così come su Discord e Telegram, novella patria di gruppi organizzati di hater pronti a riversare le loro frustrazioni in luoghi più visibili come Twitter e Facebook.

Il loro unico contributo al discorso collettivo è quello di criticare commenti, opinioni o persone. Insistono a sostenere un punto di vista al di là di qualsiasi valore educativo per te o per “il pubblico” per il quale si agitano come su un palcoscenico. Non rispettano opinioni diverse e sostituiscono la logica e l’empatia con valanghe di parole, spesso insulti.

Gli attacchi dei troll spesso diventano attacchi personali al tuo modo di essere, alla famiglia, al lavoro e l’attacco diventa ad Hominem “contro l’uomo”. La maggior parte di costoro discutono con fervore di argomenti che non conoscono, anzi sembrano affetti dalla Sindrome di Dunning-Kruger: meno conoscono un argomento più si autovalutano come esperti di quell’argomento.

La violenza con cui cercano di affermarlo è spesso funzione del presunto anonimato dietro cui si nascondono. Ma le opinioni non sono fatti. E, come è stato notato, non sono mai i più bravi o i più meritevoli a diventare haters. Forse proprio perché non sono né bravi né meritevoli.