Come si fa a evitare l’impressione nitida di trovarsi di fronte a un film già visto più volte negli ultimi mesi? Un’ora di incontro tra Draghi e Salvini e ogni ombra pare all’improvviso dissolversi. «I giornali scrivano quello che vogliono: un rapporto leale, franco, diretto risolve ogni problema e trova soluzioni», cinguetta Matteo Salvini all’uscita da palazzo Chigi. Fa sapere anche che, date le virtù taumaturgiche delle chiacchierate a quattr’occhi, d’ora in poi si ripeteranno a scadenza settimanale. Non è una sorpresa come non lo era l’incontro, annunciato già nella mattinata da Salvini. È la formula messa a punto dai «governisti» della Lega per tirare fuori il loro segretario dal vicolo cieco di uno scontro senza vie d’uscita con Mario Draghi e per mettere il governo al riparo dai colpi di testa del capo. Per ora ha funzionato, e non c’erano troppi dubbi in proposito.

COSA OTTIENE in concreto il leader leghista in cambio di quella che è a tutti gli effetti l’ennesima e del resto inevitabile resa? Qualcosa sul fronte delle riaperture, dove però lo schieramento che chiedeva di allargare le maglie rispetto ai suggerimenti del Cts era vastissimo. Il leghista chiedeva che la capienza delle discoteche fosse raddoppiata, dal 35% al 70%. Ha ottenuto il 50% di presenza al chiuso e il 75% nei locali all’aperto, nel quadro di una riapertura generalizzata che tocca tutto, dai musei ai cinema ai teatri che potranno essere del tutto pieni, come chiedeva Franceschini.

MA SUL VERO TEMA al centro dello scontro, la riforma del catasto, il leghista non ottiene niente. Palazzo Chigi fa sapere che non ci saranno cambiamenti. Il comunicato ufficiale è di una vaghezza che sorpassa la più paludata Democrazia cristiana dei tempi antichi: «Piena condivisione degli obiettivi economici e impegno comune affinché non ci siano aumenti delle tasse». Era l’appiglio che chiedeva Salvini sin dalla mattina: «Se l’obiettivo mio e di Draghi è comune mettiamolo per iscritto. Di Draghi mi fido, ma se dopo di lui viene Monti? Preferisco mettere per iscritto che nessun italiano pagherà di più tranne quelli che non hanno la casa accatastata perché abusiva»».

La mezza frase nel comunicato di palazzo Chigi permette a Salvini di affermare che la rassicurazione richiesta c’è stata. Ma è un alibi fragilissimo perché la riforma resta quella che è e dal 2026, se anche si riusciranno a mantenere i saldi invariati, è inevitabile che qualcuno paghi di più e, si spera, qualcuno di meno. Di fatto, ancora una volta, Salvini ha aperto con rumoroso squillare di trombe un fronte sul quale non poteva comunque vincere, salvo poi ritirarsi fingendo di aver portato a casa qualcosa. «Ormai questo teatrino è stancante», commenta Enrico Letta e si tratta di un classico goal a porta vuota.

NON CHE SALVINI potesse muoversi in modo diverso. Prima dell’incontro con Draghi aveva visto il capofila dei governisti, Giorgetti, constatando che, nonostante sulla riforma del catasto il «partito del nord» sia molto meno lontano dalle posizioni del leader di quanto non fosse sul Green Pass, di una rottura con Draghi non se ne può neppure parlare. Proprio Giorgetti è anzi il pontiere che ha costruito la riappacificazione di ieri. In compenso il leader si è irrigidito su un punto preciso: «D’ora io poi con Draghi tratto direttamente io».

MA LA DOMANDA fondamentale resta inevasa: quanto può durare? La riforma del catasto non è un nodo solitario, come poteva essere la prescrizione per i 5S, sciolto il quale tutto può filare liscio. Sul fronte della politica economica i rischi di frizione sono dietro ogni angolo: basti pensare allo scoglio enorme di Quota 100. Se gli elettori avessero premiato Salvini, o almeno non lo avessero penalizzato troppo, il leghista avrebbe di certo continuato a fare buon viso a pessimo gioco ottenendo in cambio una sorta di sdoganamento della sua Lega sul palcoscenico europeo.

La realtà però è opposta e lo rimarrebbe anche qualora una vittoria di Michetti a Roma ribaltasse il risultato elettorale assegnando alla destra la vittoria politica. Quella eventuale vittoria, infatti, sarebbe un successo di Giorgia Meloni e un ulteriore scacco per la Lega.
Fino a febbraio, messe in scena a parte, non succederà niente. Poi la scelta di Salvini diventerà però molto più incerta e influenzata da quel che accadrà nei prossimi mesi.