«Un aeroporto di unicorni». La definizione è della sindaca di Barcellona Ada Colau, e si riferisce al piano di ampliamento dell’aeroporto di Barcellona–El Prat che nell’ultimo anno prima della pandemia aveva toccato i 53 milioni di passeggeri (contro i 62 di quello di Barajas, a Madrid). Dopo mesi di discussioni, i primi di agosto in una riunione semisegreta fra il ministro catalano del territorio Jordi Puigneró, e la ministra dei trasporti spagnola Raquel Sánchez, l’esecutivo spagnolo si è impegnato a pagare un miliardo e settecento milioni per l’ampliamento dell’aeroporto di Barcellona, con l’obiettivo di portare i passeggeri a 70 milioni (contestualmente, una cifra analoga veniva promessa anche a Barajas). Indubbiamente, oltre alle pressioni di Aena, la società al 51% pubblica che gestisce gli aeroporti spagnoli, e di molti industriali locali, il governo si è giocato la carta pecuniaria per oliare i colloqui fra Madrid e Barcellona il cui tavolo per le trattative riprende a settembre.

Ma al contrario che a Madrid, a Barcellona e dintorni l’ampliamento sta generando una enorme polemica da parte di ambientalisti e non solo: come è possibile mantenere l’impegno di diminuire le emissioni entro il 2050, come pretende l’esecutivo spagnolo e moltissimi enti locali come lo stesso comune di Barcellona e la Generalitat, aumentando i passeggeri e il turismo?

«Non so esattamente a chi interessa questo ampliamento», ha scritto Colau, «ma mi è chiaro che non a la maggior parte dei cittadini catalani». Secondo i calcoli della sindaca, aumentare in 20 milioni i passeggeri equivale ad aumentare fra il 60 e l’80% le emissioni di tutta la città di Barcellona. Oltre a questo gli ambientalisti sono preoccupati dalla distruzione della Laguna della Ricarda (appartenente a Natura 2000, una rete europea di siti naturali protetti per la presenza di specie e habitat rari) che sarebbe coperta dall’asfalto per l’allungamento di 500 metri di una delle tre piste dell’aeroporto. Oltre a questi elementi, la sindaca critica il modello economico («depredatore, insostenibile e generatore di disuguaglianza», scrive) che si fomenta: di scarso valore, legato al turismo, per sua natura precaria e con poco valore aggiunto. L’alternativa che viene messa in campo è quella di potenziare la rete di treni di corta, media e lunga distanza e il rafforzamento degli aeroporti catalani come quello di Girona, che potrebbero essere maggiormente integrati attraverso una rete ferroviaria.

Chi vuole la terza pista arriva a definire il futuro aeroporto come «il più verde d’Europa» e parla di compensare i territori sottratti al verde con altre zone – ma un ecosistema non si può facilmente spostare da un punto a un altro. «Nessun aeroporto è verde» tuona Greenpeace, che con Wwf, Ecologistas en acción e altre ong ha chiesto per lettera a Pedro Sánchez e al presidente catalano Pere Aragonés di fermare il progetto. Lo stesso piano España 2050 presentato dal governo spagnolo prima dell’estate parlava di «proibire i voli in quei tragitti che possano realizzarsi in meno di 2,5 ore».

Se a Madrid Unidas Podemos si oppone al progetto sponsorizzato dai soci socialisti, a Barcellona Esquerra Republicana (partito dello stesso Aragonés) si dibatte fra la sua anima più ambientalista che chiede ai soci di Junts X Cat, cui appartiene Puigneró, di non allargare la pista e quella più pragmatica, non insensibile a un aeroporto più forte e all’iniezione di soldi da Madrid. La Commissione europea sarà però l’organismo che avrà l’ultima parola: intanto ha già aperto un procedimento di infrazione contro la Spagna per non aver protetto abbastanza il delta del Llobregat, proprio il fiume che passa per il Prat e su cui sorge l’aeroporto.