«Paragrafo 118, l’arte è libera»: siamo a Berlino negli anni della Repubblica di Weimar, durante uno dei più alti picchi di libertà dei costumi e creatività artistica – prima dello sprofondamento nel baratro buio del nazismo. Perfino un regista porno – sul suo set è appena stata fatta una retata dalla polizia – può appellarsi alla libertà concessa alle arti, benché il «vizio» venga formalmente perseguito.
La Berlino del 1929 è la principale protagonista di Babylon Berlin, serie tv presentata ieri alla Festa del Cinema di Roma e che debutterà su Sky Atlantic il 28 novembre.

Sceneggiata e girata da Achim von Borries, Henk Handloegten e Tom Tykwer – che è stato appena nominato presidente della giuria della Berlinale 2018 – la serie è tratta dai romanzi dello scrittore Volker Kutscher sul detective Gereon Rath ( interpretato in Babylon Berlin da Volker Bruch) un agente di polizia di Colonia che viene trasferito nella capitale, alla buoncostume, e con alle spalle il trauma della guerra di trincea durante il primo conflitto mondiale.

È attraverso i suoi occhi di uomo di provincia che scopriamo, con la stessa meraviglia, il caos e lo splendore della Berlino dei roaring twenties – le cui strade ricostruite in studio nei minimi particolari danno la misura di questa superproduzione (Sky e Beta Film) da 40 milioni di euro, un primato per la televisione europea. «Il set di Neue Berliner Straße – spiega infatti Achim von Borries – creato dal nostro scenografo Uli Hanisch per Studio Babelsberg, ha permesso di utilizzare tutte le diverse tipologie di isolati della città e dei diversi quartieri di Berlino».

Gereon arriva nella capitale per ritrovare un film porno con cui una banda di criminali sta ricattando il sindaco di Colonia, e attraverso la sua detection ci addentriamo nel sottosuolo della città, nell’oscurità delle sue pulsioni maligne e criminali, ma anche all’interno dei cabaret resi celebri dal film di Bob Fosse, simbolo proprio di una liberazione dei costumi di cui Berlino è stata il cuore pulsante. Ma come sul protagonista, pesa sulla città e sul paese il senso della disfatta nella Grande Guerra, il malessere, la povertà estrema incarnata da un’altra protagonista, Charlotte Ritter (Liv Lisa Fries) che cerca lavori a giornata nell’edificio che ospita la centrale di polizia. Ma soprattutto incombe il male nazista che prende ogni giorno più piede, anche se tutti sono per il momento più preoccupati della «minaccia» rossa.

Babylon Berlin ci introduce infatti anche a dei cospiratori trotskisti un po’ macchiettistici, che sembrano le spie sovietiche involontariamente comiche di un film americano d’altri tempi e che insieme alla fotografia patinata rompono il fascino di questo viaggio nella Berlino cosmopolita e contraddittoria di prima della tragedia. È proprio la sua mutazione sottopelle che viene raccontata in controluce dalle storie dei protagonisti di Babylon Berlin così come nei romanzi da cui la serie è tratta: «È un’epoca che mi incuriosisce molto, un periodo molto importante e non solo nella storia tedesca – aveva detto in un’intervista l’autore dei libri Volker Kutscher – mi sono sempre chiesto come un paese civilizzato, una repubblica come la Germania, potesse trasformarsi in una dittatura».

La risposta è come il mistero del male celato dalle foto di scene del crimine che deve catalogare la giovane Charlotte, incaricata di un pionieristico archivio di parole chiave degli omicidi che renda possibile riconoscere delle similitudini tra i reati o magari un modus operandi come quello del mostro di Dusseldorf di Fritz Lang, di cui si cerca di ripetere – ex post – il senso di inquietudine. O tra i fotogrammi dei film analizzati alla lente d’ingrandimento da Gereon Rath, che negli spazi bui tra le scene dei film «proibiti» scoprirà un giro criminale che pervade anche gli strati più alti di una società che sta per cambiare volto per sempre.