«È una bozza, nient’altro che una bozza». Fratelli d’Italia e Forza Italia fanno coro e sono perfettamente intonati. Il senso dei commenti, da due giorni a questa parte, è una liquidazione secca della proposta di autonomia depositata il primo gennaio da Roberto Calderoli, derubricata a un brogliaccio sul quale intervenire a fondo.

«C’È UN CAPO del governo che ha attenzionato più volte l’argomento mettendo dei paletti» ricordava due giorni fa Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia). Solo che non è precisamente così: l’ultimo commento della premier in merito risale ai primi di novembre. Da allora regna un silenzio assoluto che palazzo Chigi non ha ritenuto di dover infrangere neppure dopo la forzatura del ministro delle regioni. In compenso il governo ha inserito senza batter ciglio nella manovra l’emendamento che affida a una segreteria tecnica di 12 persone, allocata nello stesso ministero delle regioni, il compito di definire i Lep, i Livelli essenziali di prestazione. E’ improbabile che il passo abbia scoraggiato Calderoli.

IL SILENZIO non significa che la presidente concordi con la legge quadro proposta dal suo ministro. È probabile che la realtà sia opposta. In compenso la scena muta, nonostante il montare delle polemiche e la rivolta dei governatori del sud, attesta quanto profondo sia l’imbarazzo di Giorgia. Perché l’autonomia differenziata in versione leghista, tale cioè da cristallizzare o accrescere il divario tra nord e sud, non è un argomento qualsiasi pur se importante: è la base stessa dell’accordo tra Lega e Fratelli d’Italia sulle riforme istituzionali. Da novembre a oggi nessuno ha insistito per fare presto più del governatore del Veneto Luca Zaia. Sta a dire che sull’autonomia un Matteo Salvini già fiaccato dalla corsa in discesa nei consensi si gioca l’appoggio della Lega che conta, quella del Nord.

I TEMPI in realtà sono quasi tutto. La strategia della premier è far procedere di pari passo presidenzialismo e autonomia differenziata, non solo perché si tratta a tutti gli effetti di uno scambio ma anche per non dover affrontare subito un tema tanto spinoso, forse la mina potenzialmente più deflagrante per il governo. Accorpare autonomia e presidenzialismo, con la doppia lettura, i sei mesi di intervallo, il tempo necessario per mettere a punto una proposta, sia che se ne occupi il Parlamento o che il governo faccia da sé, significa rinviare tutto di un paio d’anni. Quando il quadro politico e i rapporti di forza nella maggioranza potrebbero essere ancora più sfavorevoli al Carroccio di oggi. La mossa di Calderoli ha prima di tutto proprio l’obiettivo di rinviare quella che la stessa Meloni definirebbe «una manovra dilatoria». Con la proposta sul tavolo, bozza o non bozza che sia, tenere tutto fermo per mesi e anni non sarà facile.

AFFRONTARE subito «la bozza» implica il doversi misurare subito con il vero nodo del contendere, i Lep e la cosiddetta «spesa storica». Nel progetto del ministro ci sarebbe un anno di tempo per fissare i nuovi livelli essenziali di prestazione, missione che lo Svimez ritiene però quasi impossibile. Dopo quel termine ogni regione richiedente potrebbe contrattare i propri margini di autonomia con il governo sulla base della «spesa storica», cioè di quanto speso in precedenza: è questa la dinamica perversa che congelerebbe e accrescerebbe la divisione tra Nord e Sud. Rampelli è stato il più esplicito nell’affermare che i livelli di prestazione tra «le regioni più fragili e quelle più ricche» devono essere «esattamente equivalenti». La premier, prima di perdere la favella, aveva assicurato che il sud non sarebbe stato in alcun modo penalizzato.

DA ALLORA la situazione, quanto a quadro politico, è cambiata. La principale sponda della Lega era il governatore dell’Emilia Bonaccini che, sia pure con sfumature sensibilmente diverse, era stato il primo a chiedere la gestione diretta di 15 competenze tra cui sanità e istruzione. Oggi, un po’ perché la situazione complessiva è cambiata, molto perché altrimenti si giocherebbe l’appoggio dei governatori del sud per la segreteria del Pd, è tra i più fieri avversari di una autonomia sostanziale. La Lega è sola. Ma dal governo una parola chiara sull’impossibilità di usare la spesa storica come criterio non è ancora arrivata.