Non erano passate nemmeno 24 ore dall’attacco terroristico di Manhattan (otto morti e dodici feriti) quando il presidente Donald Trump ha fatto ricorso ancora una volta a Twitter per annunciare la sua volontà di un ennesimo giro di vite nei confronti delle modalità di immigrazione.

Questa volta il target è il «Diversity visa lottery program», una sorta di lotteria che ogni anno offre 50mila carte verdi, il visto per immigrare e lavorare in modo permanente negli Stati uniti.

Questo sistema, istituito con voto bipartisan e firmato da George Bush, è una legge approvata nel 1990 ed entrata in vigore nel 1995, con lo scopo di diversificare la popolazione immigrata degli Usa: le domande vengono infatti selezionate privilegiando i Paesi che nei precedenti cinque anni hanno avuto un basso tasso di emigrazione verso gli Usa.

L’attentatore di Manhattan, il 29enne Sayfullo Habibullaevic Saipov, è nato in Uzbekistan e vive negli Usa legalmente dal 2010 proprio grazie ad una carta verde vinta con la lotteria e questo basta a Trump per demonizzarne la prassi.

«Il terrorista è arrivato nel nostro Paese grazie alla cosiddetta Diversity Visa Lottery Program, una bellezza di Chuck Schumer. Li voglio in base al merito», ha twittato Trump alle 8 del mattino di ieri, chiamando in causa il leader della minoranza democratica al Senato, Chuck Schumer, ritenuto la mente del programma.

La risposta di Schumer su Twitter è arrivata gelida: «A quanto pare non è mai troppo presto per politicizzare una tragedia».

Una volta al Senato Schumer ha proseguito: «Il presidente Trump, invece di politicizzare e dividere l’America, cosa che sembra sempre fare durante le tragedie nazionali, dovrebbe riunirci e concentrarsi sulla soluzione vera e propria cioè il finanziamento contro il terrorismo, voce che ha proposto di tagliare dal budget».

Sullo stesso tono le repliche che a Trump sono arrivate da New York, tramite il governatore Andrew Cuomo e il sindaco Bill De Blasio che non hanno mai fatto mistero della loro avversione verso The Donald e che sono alla guida dello Stato e della città santuario più attivi d’America.

«L’attacco a New York non va politicizzato – ha dichiarato De Blasio durante un’intervista alla Cnn – L’ultima cosa che il presidente o chiunque dovrebbe fare è politicizzare questa tragedia».

«I commenti del presidente non sono utili e nemmeno accurati – ha affermato Cuomo durante una conferenza stampa – Tendono a puntare il dito e a politicizzare la situazione. Tu fai il gioco dei terroristi quando dividi e spaventi la gente di questa società. Il tono dovrebbe essere l’esatto contrario di questo; qua si tratta di unificare, si tratta di solidarietà, non è il momento di strumentalizzare e fomentare l’odio».

Minimamente scalfito dai commenti, Trump ai giornalisti ha annunciato: «Voglio iniziare oggi il processo di chiusura del programma di lotteria e voglio chiedere al Congresso di iniziare subito a lavorarci». Alla domanda se avrebbe inviato Saipov a Guantanamo, Trump ha risposto affermativamente.

Fino ad ora nessuno arrestato sul suolo americano è mai stato inviato a Guantanamo e nessuno in generale è stato inviato lì dal 2008. Trasferire un carcerato da New York solleverebbe tutta una serie di questioni costituzionali e giuridiche di cui è poco chiaro se Trump ne sia consapevole.

Questa serie di affermazioni precipitose e questa evidente strumentalizzazione dell’attacco di Manhattan hanno portato molti a pensare che per Trump questa sia un’ottima occasione per distrarre dall’inchiesta speciale sul Russiagate e rassicurare la sua base conservatrice allarmata da un paio di accordi fatti con i democratici scavalcando i repubblicani.

Ora Trump dovrà abbandonare la propaganda e occuparsi davvero di Saipov del quale al momento si sa che stava preparando da settimane questo attentato e che si è davvero radicalizzato in America. Al momento Saipov è ricoverato all’ospedale Bellevue di Manhattan dove è stato sottoposto a un intervento chirurgico. Interrogato dall’Fbi, stando alla loro dichiarazione, si sarebbe detto «orgoglioso dell’attacco».

L’Fbi ha perquisito la casa del killer, a Paterson, New Jersey, dove viveva dopo essersi trasferito dalla Florida con la moglie, anche lei uzbeka, e i due figli e dove da sei mesi lavorava come autista per Uber.