Le ultime proposte dei cda di Autostrade per l’Italia e della controllante Atlantia, leggi famiglia Benetton, arrivano “alle istituzioni governative competenti” in un torrido sabato pomeriggio, in tempo per evitare la rottura definitiva con l’esecutivo. Ma dalle prime anticipazioni, diffuse con il contagocce e in assenza di reazioni governative, le nuove proposte potrebbero ancora non bastare, almeno al M5s, per accettare di non revocare la concessione sui circa 3.000 chilometri di rete affidata dallo Stato ad Aspi. Non tanto e non solo per la parte “tecnica” che riguarda il taglio delle tariffe oscillante dal 5 al 10% nei prossimi anni, i maggiori controlli e le spese conseguenti di manutenzione ordinaria, un’accelerazione sugli investimenti da fare, e le compensazioni miliardarie per il crollo del ponte Morandi.

Il nodo ancora da sciogliere resta quello politico della presenza in Aspi di Atlantia, che dall’attuale 88% dovrebbe scendere sotto il 50%, forse addirittura al 30%, per lasciare posto a investitori istituzionali. Ma sempre con una quota di tutto rispetto per la famiglia Benetton, che di Atlantia ha il 30% e che controlla di fatto la società. E a dar credito alle parole del viceministro pentastellato Stefano Buffagni (“fuori i Benetton altrimenti pronti a lasciare il governo”), e a quelle del presidente di Montecitorio, Roberto Fico, (“sono per la revoca, è finito il tempo in cui può succedere un disastro e chi ha la concessione di un bene pubblico pensa di farla franca, perché si sente proprietario di quel bene. Chi sbaglia va via, non c’è ricco o potente che tenga”), i consigli dei ministri che in settimana affronteranno il dossier Aspi si annunciano fin d’ora caldissimi. A tal punto che, invece di martedì, fonti di governo non escludono uno slittamento a mercoledì o giovedì dei cdm.

Allo scetticismo dei 5 Stelle fa infatti da contraltare la prudenza degli altri partner della maggioranza che sostiene il governo Conte. La strada della revoca aprirebbe un contenzioso legale miliardario, il problema di sostituire in tempi brevissimi il gestore di mezza rete autostradale italiana, e altri effetti collaterali di non poco conto. Non per caso dalle parti di Italia Viva sia Luigi Marattin che Maria Elena Boschi mettono in guardia sui rischi dalla revoca. Quanto al Pd, per l’intera giornata silente, le ultime dichiarazioni di merito da registrare sono quelle di venerdì del vicesegretario Orlando: “Al Pd interessa che chi ha nuociuto non lo faccia più, che ci siano garanzie sulle tariffe, gli investimenti, i controlli. Se questo si realizzerà con la revoca, o un radicale cambio dell’assetto societario, tocca al governo dirlo, sulla base delle analisi tecniche che a questo punto dovrebbero essere più che sufficienti”.

Per certo, rispetto al piano rinviato al mittente nel giugno scorso, ora Aspi dovrebbe aver alzato 3 a 3,4 miliardi gli investimenti per far fronte ai disastrosi effetti del crollo del ponte Morandi. Oltre alle spese per la ricostruzione e gli indennizzi, 1,5 miliardi sono destinati alle opere di manutenzione straordinaria lungo tutta le rete in concessione, e 1,2 miliardi per finanziare la riduzione delle tariffe, su uno schema preparato dall’Autorità dei Trasporti. Inoltre sarebbero confermati i 14,5 miliardi di investimenti previsti fino al 2038, data di scadenza della concessione, e altri 7 miliardi per le manutenzioni.

Al tempo stesso resta tutto da sciogliere il nodo di superare in qualche modo le norme del decreto Milleproroghe che hanno aperto la strada alla ipotesi di revoca e sono costate ad Aspi il rating “spazzatura”, che non permette più alla concessionaria autostradale di finanziarsi. spi puntualizza di non aver chiesto le revoca del Milleproroghe, ma certo il decreto prevede un valore di indennizzo a favore di Aspi in caso di revoca della concessione di 7 miliardi, valore molto più basso dei 23 miliardi previsti dalla convenzione siglata nel 2008. Per questo Autostrade non è al momento in grado di mantenere un suo equilibrio economico, finanziario e patrimoniale, che invece è un requisito essenziale perché in Atlantia entrino nuovi soci come Cassa depositi e prestiti, il fondo infrastrutturale F2i (la società che conta tra i suoi azionisti le principali fondazioni bancarie, gli istituti di credito più grandi, e ancora Cdp), e altri potenziali azionisti fra i quali alcuni fondi infrastrutturali esteri.