Atene e Skopje hanno firmato l’accordo sul nuovo nome dell’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, che in futuro dovrà chiamarsi “Macedonia del Nord”. Dal compromesso risulta chiaramente che la lingua del paese è un idioma slavo, che non ci dovranno essere rivendicazioni territoriali nei confronti della Grecia e che la nuova denominazione dovrà essere usata in tutte le relazioni, di tipo politico, diplomatico e commerciale.

La Grecia, da parte sua, accetta che il suo vicino faccia uso di una denominazione composita che comprende la parola Macedonia e che i suoi abitanti si potranno chiamare «macedoni-cittadini della Macedonia del Nord».

Se a Skopje l’intesa verrà approvata sia dal parlamento che tramite referendum popolare, successivamente anche il parlamento greco darà il suo assenso e si passerà alla fase dell’attuazione pratica. Non si tratta, quindi, di un passaggio immediato, ma ci vorrà del tempo.

Naturalmente, non mancano le reazioni fortemente contrarie, da entrambe le parti. Ad Atene il ministro degli esteri Nikos Kotziàs, (uno dei principali protagonisti della fase negoziale appena conclusa) ha puntato il dito contro l’atteggiamento del centrodestra di Nuova Democrazia. «Mi spiace che questo partito si stia facendo trascinare dalla sua ala di estrema destra, sacrificando la posizione che nel 2008 aveva assunto lo stesso ex primo ministro conservatore Kostas Karamanlìs, a favore di un nome composito», ha detto Kotziàs.

E ha accusato Nuova Democrazia di dire esattamente le stesse cose del partito di opposizione Vmro a Skopje, «un partito che ha creato proprio l’irredentismo al quale questo accordo vuole porre fine».

È vero che la situazione, nell’Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, non è delle più facili. I rapporti tra il primo ministro Zoran Zaev e il Presidente della Repubblica Gjorge Ivanov sono tesissimi e quasi inesistenti. Quando Zaev si è recato al palazzo della presidenza, per annunciare il raggiungimento dell’accordo, il colloquio è durato due minuti di orologio.

Secondo Ivanov, «l’accordo in questione è umiliante e non lo firmerà, anche se gli dovessero venir fatte innumerevoli pressioni». Tuttavia se, come previsto, dovesse arrivare il sì del parlamento (vista la maggioranza del partito di Zaev) il presidente non dovrebbe riuscire a bloccare l’accordo. Altra cosa è il referendum di modifica costituzionale che si terrà sempre a Skopje (per togliere ogni riferimento irredentista), sul cui esito al momento non ci sono certezze.

Non si deve dimenticare, tuttavia, che senza la nuova denominazione il paese non potrà diventare membro della Nato e dell’Unione europea e sembra difficile che l’opposizione del Vmro e il presidente Ivanov possano fermare questo processo.

Per quanto riguarda la Grecia, Nuova Democrazia sta alzando i toni, anche in considerazione del fatto che il governo Tsipras, dopo l’accordo con Skopje, punta a dei risultati concreti sull’alleggerimento del debito (all’Eurogruppo di giovedì) e ad uscire, tra due mesi, dal programma di sostegno economico.

È chiaro che si tratta di risultati che possono rafforzare l’esecutivo ed è per questo che il centrodestra sta cercando di contrastare il più possibile le mosse del leader di Syriza. Tuttavia, in una fase nella quale gli estremisti di destra cercano ovunque di alzare sempre più pericolosamente i toni, il Partito Popolare Europeo e la stessa Angela Merkel (con cui il leader di Nuova Democrazia, Kyriakos Mitsotakis, ha cercato sempre di tenere stretti rapporti), è molto probabile che consiglieranno maggiore pacatezza e di lasciare ad altri, rivendicazioni e pretese di stampo nazionalistico.