«Chiudetevi in casa, sbarrate le porte». È uno dei messaggi che si scambiavano ieri i palestinesi di Ein Hayam (Wadi Jamal in arabo), quartiere di Haifa a due passi dal mare. Munir abita lì da quando è nato. Ci diceva ieri di non aver mai visto o sentito cose simili ad Haifa. «I kahanisti (destra estrema ebraica, ndr) si sono radunati al German Colony – raccontava – e minacciano di venire anche qui, come hanno fatto ieri (mercoledì) in altre zone di Haifa, vanno a caccia di arabi». Non sono scontri tra ebrei e arabi, ci ripeteva. «I miei vicini sono ebrei – ha aggiunto – ci conosciamo da sempre e con loro i rapporti continuano normali. Il problema sono questi fanatici che ci odiano. Su Facebook hanno postato ‘Questa sera alle 20 dimostreremo agli arabi che Haifa è una città ebrea’».

Haifa non è Lod dove le tensioni sociali e la guerra tra poveri fomentata dai nazionalisti creano una barriera invalicabile tra ebrei e arabi. Non è Bat Yam dove l’altra sera un arabo è stato pestato in diretta tv e ha rischiato la morte. E neppure Acri dove i sorrisi tra ebrei e arabi nei ristoranti della sua celebre casbah sono una vernice che a stento nasconde la diffidenza reciproca.

E neppure Giaffa dove la gentrificazione a sfondo nazionalista tiene da anni alta la tensione tra le due parti. Haifa è la «città della convivenza» si dice ma è solo uno slogan. Wadie Abu Nassar in quella convivenza ha sempre creduto. Cattolico praticante, portavoce dei vescovi e analista politico, l’altra sera ha vissuto con la sua famiglia minuti di terrore. «Verso le 21.30 – ci ha raccontato – mia figlia ha notato degli individui che colpivano la nostra auto, ha provato a fermarli e quelli sono diventati aggressivi, la minacciavano. Allora l’altra mia figlia è corsa all’incrocio, ha visto una pattuglia della polizia e ha chiesto aiuto ma gli agenti non hanno fatto nulla per aiutarci. Quei fanatici nel frattempo distruggevano tutto quello che avevano davanti. Poi sono andati via».

La rabbia di Abu Nassar è incontenibile. «Ho il diritto di chiedere se questo è uno Stato di diritto, uno Stato che protegge tutti i suoi cittadini?». Leila, di Deir Hanna, non abita lontano da Abu Nassar. I kahanisti hanno provato a sfondare la porta di casa: «Abbiamo resistito, fino a quando non hanno rinunciato al loro proposito. Io sono rimasta ferita leggermente». Ieri sera il clima a Haifa non era migliorato. Nel quartiere di Hadar, non lontano dai giardini del tempio Bahai, gli scontri sono andati avanti per ore.

Lod si è trasformata di nuovo in un campo di battaglia. Protagonisti ancora una volta estremisti di destra giunti dalle colonie in Cisgiordania e da varie parti del paese. Ma anche gli abitanti arabi hanno fatto di nuovo ricorso alla violenza. Un ebreo è stato ferito a una gamba da colpi d’arma da fuoco. Per ore le raffiche di mitra si sono alternate alle urla di paura. A Giaffa, Acri e altri centri non è andata meglio.

A Gerusalemme gruppi non meglio precisati della destra estrema avevano indetto ieri sera un raduno a Piazza Zion, nella zona ebraica della città, con il proposito di marciare fino alla Porta dei Leoni della città vecchia e il quartiere di Sheikh Jarrah dove da settimane va avanti la protesta contro lo sgombero a sfondo nazionalista di famiglie palestinesi.

Due giorni fa il presidente israeliano Reuven Rivlin ha denunciato i «progrom» a Lod, riferendosi ai gravi attacchi compiuti da folle di arabi contro ebrei e le loro proprietà. Avrebbe dovuto parlare di progrom anche a danno degli arabi per quanto è avvenuto mercoledì. In quel caso però le violenze sono state descritte come «scontri tra arabi ed ebrei» e non come aggressioni pianificate dall’estrema destra. La polizia israeliana ha aperto indagini per l’istigazione all’odio anti arabo. Ma fino a ieri sera la maggioranza degli arresti eseguiti a Lod e in altre città riguardavano in larga misura gli arabi.

Quanto accade nelle strade non ha fatto passare in secondo piano la guerra tra Israele e Hamas. Non sarebbe stato possibile di fronte alla gravità dell’escalation militare. Ieri sera a Gaza migliaia di abitanti di Beit Hanoun, Beit Lahiya, Umm Nasser, dei sobborghi orientali di Gaza city e di Rafah erano in fuga dalle loro case a causa del fuoco intenso e andato avanti per ore dell’artiglieria israeliana.

Immagini che hanno riportato alla mente l’esodo di migliaia di civili palestinesi nella fascia orientale di Gaza durante la guerra del 2014. Anche questa volta le scuole dell’Onu sono state aperte agli sfollati. Si sono poi diffuse notizie di case colpite in un villaggio beduino e «dei corpi sotto le macerie dei membri di una stessa famiglia».

Notizie simili sono arrivate dopo un bombardamento a Rafah. Fonti degli ospedali della zona parlavano di «10-20 morti» che, se confermati, andrebbero ad aggiungersi agli 89 accertati fino alle 17 di ieri dal ministero della sanità locale.

Israele ammassa truppe e mezzi corazzati al confine, è pronto a lanciare un’offensiva di terra. E prosegue i bombardamenti aerei, senza sosta, contro edifici di Hamas, filiali di banca, stazioni dell’intelligence, basi di addestramento. Afferma di aver «eliminato» importanti comandanti e membri dell’ala militare di Hamas e di aver ridotto al minimo le capacità operative delle Brigate Al Qassam.

Il braccio armato del movimento islamico invece continua a colpire in Israele. Ieri ha sparato altre centinaia di razzi verso il sud e il centro di Israele, anche nell’area di Tel Aviv tanto da rendere parzialmente operativo lo scalo internazionale «Ben Gurion» e spingere le autorità a dirottare i voli commerciali all’aeroporto di Ramon (Eilat).

Abu Obeida, il portavoce di al Qassam, ha detto che l’organizzazione impiegherà presto missili a medio raggio «Ayyash» in grado di colpire ogni punto di Israele. Le varie ondate di razzi, unite ieri agli attacchi di droni fabbricati a Gaza, hanno provocato in Israele feriti ma non morti. Il bilancio di israeliani uccisi è di sette. Il cessate il fuoco resta lontano.