«L’integrazione non è una cosa semplice, il giorno in cui ci fosse in Italia un vero governo di centrosinistra, di cui siamo carenti da molti anni, la prima cosa che deve fare sarebbe cambiare la legge Bossi-Fini e tornare alla legge Turco-Napolitano che prevedeva quote e accordi». Nel secondo giorno di Fondamenta, la kermesse di Art. 1 che si chiude oggi allo Spazio Megawatt di Milano, Massimo D’Alema è quello che scalda di più i duemila presenti.

UN PO’ PERCHÉ PARLA come se i parlamentari di Art.1 non fossero nella maggioranza di governo, e invece lo sono anche se preparano lo strappo sui nuovi voucher. Ma soprattutto perché attacca il renzismo a testa bassa: «Una sinistra moderna si deve ispirare a figure come quella di Francesco», intende il papa, «non come quella del finanziere con il conto alle Cayman, la società off-shore a Malta, che poi dal palco della Leopolda ci spiega che cos’è la sinistra moderna». Applausi. Applausi anche a Bersani che snocciola un programma per un governo di centrosinistra: è quello della precedente coalizione, Italia bene comune, ma non ha vinto. Il tema più popolare è il no al jobs act. Per la foto di famiglia al Megawatt è stata richiamata anche Emma Bonino. E lei fa la sua parte: richiama tutti ad essere coerenti. Per esempio, lei (con i Radicali italiani e altre associazioni) raccoglie le firme per cancellare davvero la Bossi-Fini: «Se agli applausi fate seguire le firme siamo già un pezzo avanti», dice. Un’ora dopo si ritroveranno tutti insieme a Porta Venezia al corteo Senza muri. In mezzo a un mare di persone.

IL CLOU DELLA MATTINATA doveva essere la vicenda Banca Etruria. E invece niente. Il giornalista Ferruccio De Bortoli marca visita e manda la giustificazione: preferisce astenersi «alla luce delle polemiche» seguite alle rivelazioni fatte nel suo libro Poteri forti (o quasi). Commento di Bersani: «È triste un paese dove un grande professionista non può andare dove vorrebbe». Applausi di consolazione. In realtà il professionista non è voluto andare dove avrebbe potuto, raccontano che gli avvocati abbiano sconsigliato. Il caso Boschi resta aperto. Bersani annuncia che Art.1 non chiederà le dimissioni della sottosegretaria, almeno finché non si saprà se mente: «L’unico modo per capirlo è nella Commissione parlamentare. O che lei quereli De Bortoli».

BOSCHI A PARTE, dal palco la ‘vecchia guardia’ ruggisce e motiva il suo popolo. Ma persino chi detesta la rottamazione renziana sa che c’è un problema di ricambio. Non solo generazionale. Basta il colpo d’occhio: in prima fila c’è solo una donna, la capogruppo al senato Cecilia Guerra. E fra i tredici interlocutori dei tre dibattiti l’unica è EmmaBonino.

E poi c’è il tormentone della leadership. Nel gruppo dei quarantenni Roberto Speranza è in pole, ma aspetta di sapere cosa farà Giuliano Pisapia. Stamattina, giurano o sperano i suoi, scioglierà la riserva. La guardia è stanca di aspettare. «Oggi ho lasciato il Pd per venire qui a testa alta», spiega Gabriele, avvocato di Gorgonzola, «so che noi siamo quelli seri, ma ora serve un passo avanti». «Va bene ricominciare da una fabbrica, qui siamo duemila come duemila erano i lavoratori che in questo capannone un tempo costruivano pulegge», ricorda Angela, «ma ora bisogna trovare un leader, altrimenti dobbiamo concludere che l’unico in circolazione è Matteo Renzi». «Serve uno che buchi lo schermo» ragiona Salvatore di Modena. La leadership è tema delicato anche per Mariangela: «Abbiamo troppe delusioni alle spalle, ora dobbiamo maneggiare con cura questo progetto, evitiamo scossoni inutili: Pisapia si è schierato con il sì al referendum, sicuri che possa rappresentare questo nuovo cammino? Comunque deve decidersi». Questi sono i militanti. I dirigenti si lasciano andare a qualche battutaccia off the record: «Pisapia? È indeciso a tutto».

Dall’esterno Nicola Fratoianni (segretario di Sinistra italiana), che pure con l’ex sindaco è in freddo, si offre alla partita: «Apriamo una discussione su una lotta senza quartiere alla diseguaglianza, costruiamo uno spazio aperto nel quale definire una piattaforma».

MA PISAPIA, il promesso federatore, ci sarà? Oggi arriverà la fatidica risposta. «E se non arriva, arriveranno i fischi», c’è chi chiosa. Intanto Pisapia c’è. C’è alla manifestazione per l’accoglienza, dove tutta l’assemblea si trasferisce. Anzi, è fra i primi ad arrivare. «Voglio stare in mezzo al mio popolo» dice guardando la Milano democratica e progressista. Questa fiumana di umani solidali, che il suo successore Beppe Sala sta difendendo con coraggio insospettabile, è anche merito suo. L’ex sindaco sfila a lungo con Gianni Cuperlo, che è ancora nel Pd. A un passo da loro il ministro ormai renzianissimo Maurizio Martina non lo perde d’occhio. Poi Pisapia incontra Bersani, i due si abbracciano e scatta l’applauso intorno.
«Questo 20 maggio è una specie di 25 aprile dei tempi nuovi», dice l’ex segretario del Pd. Bel paragone, se questa sinistra siglasse un patto sul tema dell’accoglienza già sarebbe un buon inizio. Ma, certo, solo un inizio.