Il mondo ex Fiat sempre più in subbuglio. Proteste e scioperi massicci, impensabili solo fino a qualche anno fa.
Colpa dei piani di chiusura e dei ritardi dell’araba fenice sempre promessa e mai mantenuta: la piena occupazione per gli ex 86mila dipendenti italiani del gruppo ancora controllato dagli Agnelli.
Marchionne aveva chiuso Termini Imerese e Valle Ufita all’inizio della sua «rivoluzione» nel decennio scorso. Ora chi ne ha preso il testimone ha deciso la prima chiusura della nuova era: Pregnana Milanese.
Ieri si è tenuto il tavolo al Ministero dello Sviluppo Economico sul piano di Cnh industrial, pronto alla separazione di Iveco e Ftp. Al Mise il responsabile delle relazioni industriali del gruppo Vincenzo Retus ha confermato di voler procedere alla ristrutturazione della capacità produttiva in Italia con un impatto negativo sull’occupazione con la chiusura dello stabilimento di Pregnana Milanese e la trasformazione di San Mauro Torinese da stabilimento produttivo a piattaforma logistica.

I SINDACATI HANNO RISPOSTO compatti chiedendo di rivedere il piano industriale salvando lo stabilimento di Pregnana Milanese, senza naturalmente condannare altre fabbriche. Una posizione condivisa con il ministero e le istituzioni locali, «che hanno chiesto di utilizzare il tempo a disposizione per trovare soluzioni produttive, offendo ogni possibile sostegno contemplato dalla legge». L’azienda ha dato – spiegano Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Quadri – una generale disponibilità a discutere di tutele per i lavoratori coinvolti nella riorganizzazione, ma ha confermato la riorganizzazione dei settori Fpt e movimento terra. «Né a Pregnana né a San Mauro né altrove accetteremo licenziamenti. Chiediamo soluzioni che offrano effettiva tutela occupazionale», hanno detto i sindacati che hanno ribadito le loro richieste: «trovare una soluzione che preservi la continuità produttiva a Pregnana Milanese, offrire tutele ai lavoratori di San Mauro Torinese, la cui riorganizzazione per stessa ammissione della direzione aziendale determina circa 110 eccedenze, dare garanzie a tutti gli stabilimenti toccati dalla riorganizzazione, vale a dire a Torino e Foggia, nonché alla fabbrica Iveco di Brescia». Il tavolo sarà riconvocato a breve dal Ministero dello Sviluppo economico.

NEL DETTAGLIO IL PIANO prevede tra Piemonte e Lombardia 370 esuberi, senza contare i lavoratori dell’indotto e in somministrazione oggi impiegati. In più, fatta eccezione per i siti dove si producono macchine agricole e per lo stabilimento delle macchine movimento terra che non sarebbero impattate dalla ristrutturazione, per lo stabilimento di Brescia – il più grande – permane l’incertezza sul futuro, mentre Foggia – nonostante il trasferimento delle produzioni da Torino – rimarrebbe senza volumi per almeno un quinto della forza lavoro.

La Fiom chiede che «il cambiamento tecnologico di digitalizzazione e green non sia pagato dall’occupazione: è inaccettabile che l’aumento della redditività e il raggiungimento degli obiettivi finanziari per gli azionisti si metta in discussione l’occupazione».

Sabato invece lo sciopero ad Atessa, più grande fabbrica italiana del gruppo Fca – oltre 6mila dipendenti – è stato un successo. La protesta indetta da Slai Cobas, Usb, Fiom e Fim, quest’ultima firmataria del contratto Fca, ha registrato oltre il 70% di adesione per contestare l’applicazione della nuova turnazione nello stabilimento dei Ducato, passata, dal 7 ottobre da 15 a 17 turni settimanali.

SCIOPERO BOICOTTATO PERFINO dall’assessore regionale allo sviluppo Mauro Febbo – della giunta di destra Marsilio.
«Ora l’azienda apra immediatamente il confronto», attacca la Fiom-Cgil provinciale, «questa è la seconda risposta che danno i lavoratori Sevel sull’imposizione della nuova turnistica senza averla contrattata. I lavoratori vogliono essere coinvolti. La Regione ha scelto di esprimere un proprio giudizio contro i lavoratori della “fabbrica dei record” che chiedono pari dignità nella contrattazione».