Immaginate di uscire di casa e, arrivati nell’androne del palazzo, trovare una danzatrice con un gruppo di persone che la osserva e poi la segue, su per le scale. O di affacciarvi dalla finestra e scorgere su un terrazzo due figure in pelliccia che recitano versi da una tragedia, con due torce come luci e un piccolo pubblico dislocato in varie postazioni ad ascoltarli. Sono questi alcuni frammenti da Altofest, festival di luoghi, persone, comunità che attraversa Napoli dal 2011 e che si è appena concluso (15-19 giugno). Attraversare è il verbo più adatto per racchiudere in una parola quest’esperienza ibrida e itinerante, a metà tra la performance site specific, un laboratorio urbano permanente, un dispositivo artistico e politico che nasce con l’intento di «dare luogo».

Anna Gesualdi
Abbiamo deciso di attaccare la cellula politica minima della polis. Se vogliamo estendere la nostra azione alla città, dobbiamo iniziare dalle sue radici, da quel luogo intimo

NON SPETTACOLI ma accadimenti della più svariata natura – danza, teatro, performance, installazione partecipata – dislocati in più punti della città, a tutte le ore del giorno e della sera, intervallati da momenti collettivi di condivisione, chill out, scambi informali. Il festival nasce come costola di TeatriInGestazione, compagnia fondata da Anna Gesualdi e Giovanni Trono nel 2002. Entrambi pugliesi, lei laureata in Lettere Moderne a Napoli, lui in Chimica a Siena, innamorati di Napoli tanto da restarci e dare vita a un collettivo di artisti con cui hanno lavorato al Manicomio di Aversa per nove anni. «Altofest è nato nel 2011, abbiamo iniziato sperimentando la crisi globale», racconta Anna Gesualdi, «ci siamo chiesti: dove andremo a finire, come artisti e cittadini? La risposta è stata che il formato “spettacolo” era ed è insufficiente per parlare alle persone. Volevamo capire come si fa a stare insieme “sentimentalmente”, così siamo partiti dalle nostre case. Abbiamo deciso di attaccare la cellula politica minima della polis. Se vogliamo estendere la nostra azione alla città, dobbiamo iniziare dalle sue radici, da quel luogo intimo». La casa in Altofest è una questione politica. Il festival si svolge perlopiù in abitazioni private cui si aggiungono spazi extra domestici dove «c’è una cura particolare, come se fosse famiglia». Ne è un esempio il Centro di Salute Mentale in via Santa Maria Antesaecula nel cuore del quartiere Sanità dove Roberto Corradino ha interagito con oggetti e opere degli utenti del centro in Diario di Pinocchio. Nel corso degli anni, si è proceduto a sperimentare e perfezionare un decalogo per artisti e una comunità che «non consuma ma partecipa attivamente alla messa in scena».

Da «Antigone» di Barletti/Waas foto di Vicky Solli

I primi sono ospitati in appartamenti dei cittadini e «donatori di spazio», il periodo di residenza è di due settimane. «In questa fase hanno il compito di riformulare una performance compiuta che ha già debuttato per uno spazio formale: li invitiamo a tradurla per il nuovo luogo in cui sono accolti. Lo spazio e il tempo della quotidianità e del lavoro viene negoziato da entrambe le parti». La co abitazione diventa co-creazione: il cittadino si appropria delle regole della creazione della performance, così come l’artista si appropria di un ritmo nuovo in cui farla «succedere». Non siamo nella sala protetta e dedicata di un teatro, ma calati nel tessuto urbano di una città viva come Napoli. Durante il prologo di Antigone di Barletti/ Waas adattato nel cortile di un palazzo del Cavone, una signora anziana si affaccia dall’ultimo piano e irrompe: «Ma ora questa cosa la dovete fare tutte le sere?». Dopo pochi minuti siamo seduti – chi a terra, chi su un dondolo, chi su un muretto – nel piccolo terrazzo della casa di Alessandro, educatore e musicista: Creonte/ Waas fa il suo discorso alla città da uno splendido e straniante pulpito suburbano di piante da giardino e antenne, per una versione post moderna di Antigone «home- ready-made».

I LUOGHI di Altofest 2022 sono disseminati nel centro storico ma le zone cambiano di anno in anno, a seconda della comunità di «ospitanti». La geografia si dispiega «per emersione»: i quartieri si rinnovano a seconda del ritmo sociale della città. «Gli spettacoli sono solo l’esito di questo processo. Tessiamo i fili di una “città sospesa”. Seguiamo la vita di questo organismo e accogliamo ciò che arriva, i confini sono dinamici, cangianti». Il festival è immersivo, inutile provare a selezionare gli appuntamenti: meglio darsi un tempo – un tempo lungo, di sospensione, appunto, un lusso in questi tempi iper veloci – in cui abbandonarsi al flusso di «situazionismi artistici» intervallati da momenti conviviali e incontri guidati con gli artisti. I lavori vengono selezionati attraverso un bando, «ogni anno arrivano centinaia di proposte da tutto il mondo, di realtà note o sconosciute.

GLI ARTISTI hanno una fee che TeatriInGestazione ricava dal lavoro di compagnia e di partecipazione a bandi e progetti europei, network internazionali di performing art». Il tema delle economie è stato al centro di uno dei dibattiti di Texture, piattaforma d’incontro, dal vivo e in remoto, per operatori culturali da tutto il mondo con teorici, economisti, filosofi a condividere le esperienze, i processi, la fatica, gli interrogativi che ruotano attorno alla messa in vita di un festival. Ci si interroga molto su concetti come relazione, comunità, pratiche, aspettative, desideri sulla città. Il pubblico, misto per nazionalità, età e estrazione sociale, è per lo più giovane e internazionale. Una comunità «in transumanza artistica» fatta di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, spettatori, ospitanti, ma anche avventori casuali che all’ultimo si «infilano» agli appuntamenti. A Napoli, oggi travolta come non mai da flussi incontrollati e violenti di turismo di massa e mordi e fuggi – schiere di persone anonime che si muovono in blocco, dietro il credo senz’anima del food da cartolina – assistere a questo altro tipo di transito, di chi si sposta da un luogo all’altro del centro storico per partecipare a una performance, conoscere nuovi spazi, costruire comunità, è un sollievo.