Il dibattito sulla riunificazione irlandese contribuisce a scaldare gli animi negli ambienti della politica istituzionale nordirlandese, ma la tensione è alta anche negli spazi della dissidenza repubblicana.

Dopo diversi fatti di sangue delle ultime settimane, nel Nord ma anche nella Repubblica d’Irlanda, è notizia della settimana passata la mancata esplosione a Derry di un ordigno collocato sotto un veicolo della polizia nordirlandese, e caduto per caso in strada prima di venire innescato. I principali sospetti sono caduti sui vari gruppi della dissidenza, che dietro la sigla «New Ira» sembrano lavorare nell’ombra per una nuova coesione. Ma nel caso specifico, gli investigatori hanno persino avanzato l’ipotesi di un riarmo della Inla (Irish National LIberation Army), inattivo ormai da molti anni. Riarmo che è stato negato a gran voce dal suo braccio politico, l’Irsp (Irish Republican Socialist Party).

L’UNIVERSO DELLA DISSIDENZA ha da qualche mese anche un nuovo promettente protagonista, un partito-movimento di ispirazione chiaramente socialista, Saoradh («Liberazione» in irlandese). Il suo primo obiettivo è la riorganizzazione a livello locale delle comunità, per creare una rete di protezione dagli abusi e dalle discriminazioni che, nonostante il processo di pace, continuano a essere sperimentate dalla comunità cattolico-nazionalista.

 

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«Diamo il benvenuto a tutti i lavoratori, anche a quelli della comunità unionista»

 

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Il partito, fondato nel settembre del 2016, ha ottenuto, nel carcere di Maghaberry, l’appoggio dei detenuti repubblicani che si riconoscono nella New Ira, e ha sin da subito stretto rapporti con l’associazione che li rappresenta, l’Irpwa (Irish Republican Prisoners Welfare Association).

Abbiamo incontrato nei locali dell’associazione, a Derry, il National Organizer di Saoradh, Joe Barr che ci ha spiegato come la posizione del partito sia chiaramente antitetica al repubblicanesimo maggioritario di Sinn Féin, di cui si mette in discussione l’intera strategia, a partire dagli Accordi del Venerdì Santo e della collaborazione con gli unionisti nel parlamento di Stormont: «Negli ultimi diciotto anni Stormont non è riuscito a dare risposte alle classi lavoratrici. Gli Accordi non hanno mai puntato al progresso, ma solo alla conservazione dello status quo. È aumentata la povertà. A Derry abbiamo la seconda più alta percentuale di suicidi in tutto il Regno unito, e il primato assoluto in termini di disoccupazione».

SAORADH PUNTA CHIARAMENTE all’appoggio delle comunità locali, e vede un coinvolgimento crescente dei giovani: «Dobbiamo lavorare per promuovere un senso di democrazia sociale». Questa vocazione comunitaristica viene regolarmente attenzionata dalle autorità: «Vengo fermato continuamente, e la repressione sta aumentando». Soprattutto nei confronti dei prigionieri politici: «Non li abbiamo dimenticati. Siamo vicini alle loro famiglie, mostriamo solidarietà anche materiale ai compagni in carcere che subiscono perquisizioni corporali, il diniego dell’istruzione, e varie forme di violenza morale, psicologica e fisica».

Le prospettive del Brexit che fanno pensare alla possibilità di una riunificazione non sono tra le loro preoccupazioni maggiori poiché, «a noi non interessa una riunificazione in senso nazionalista dell’Irlanda: vogliamo costruire una Repubblica Socialista in cui i diritti dei lavoratori (sebbene a Derry siamo quasi tutti disoccupati) siano rispettati. Diamo il benvenuto a tutti i lavoratori, anche a quelli della comunità unionista».

LE ISTANZE AVANZATE dal giovanissimo Barr sono confermate dal leader del partito Davy Jordan, che ci apre invece le porte della sede di Saoradh nel cuore di Falls Road a Belfast. Jordan è un noto protagonista della dissidenza repubblicana, e ha scontato diversi anni nelle carceri irlandesi per la sua appartenenza al movimento paramilitare repubblicano.

In prima istanza ci tiene a specificare che il nuovo movimento non ha ambizioni politiche in senso istituzionale: «Non ci interessano le elezioni. Staremo dalla parte delle comunità locali, in termini di lavoro, alloggi, anche su scala nazionale. A Dublino abbiamo aiutato a difendere dalle aggressioni della polizia l’Apollo House occupata per dare alloggio ai senzatetto. Siamo consapevoli – dice Jordan – che lo stato neocoloniale (la Repubblica d’Irlanda, ndr) non avrebbe mai consentito politiche a favore delle classi lavoratrici, è per questo che ci spostiamo a sud del confine per dare man forte alle lotte dei più deboli».

 

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«Dissentiamo non nei confronti del processo di pace, ma nei confronti del processo di pacificazione, che fa dimenticare la sofferenza, le privazioni, la povertà che le nostre comunità sperimentano sulla propria pelle ogni giorno»

 

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TORNANDO alla situazione del Nord, Jordan conferma come le sorti del nuovo movimento siano un tutt’uno con la volontà di creare un fronte comune con i prigionieri politici per la nascita di una nuova resistenza: «Trenta anni fa i detenuti venivano chiamati criminali comuni, ma erano soltanto persone che volevano difendere le proprie comunità dalle aggressioni». Ma l’appoggio ai prigionieri politici, in carcere perché membri delle varie organizzazioni paramilitari del variegato arcipelago della dissidenza, non fa di Saoradh un movimento ufficialmente a favore della lotta armata, benché, secondo Jordan, «quando le comunità si sono armate, negli anni sessanta e settanta, è stato in reazione alla violenza dello stato e delle forze della corona. Si è trattato di legittima difesa. Per questo non ci vergogniamo a chiamarci dissidenti. Dissentiamo non nei confronti del processo di pace, ma nei confronti del processo di pacificazione, che fa dimenticare la sofferenza, le privazioni, la povertà che le nostre comunità sperimentano sulla propria pelle ogni giorno».

SI TRATTA DI SITUAZIONI che, a dire di Jordan, dalle comunità si estendono all’organizzazione che tenta di rappresentarle: «I nostri membri vengono fermati di continuo e perquisiti per strada. Non è cambiato nulla. La resistenza organizzata a livello locale deve andare di pari passo con l’aiuto alle nostre comunità. Ma la nostra è una strategia di lungo termine, basata sulla crescita di consapevolezza delle discriminazioni che non provengono solo da politiche settarie, ma da istituzioni neocoloniali contro cui dobbiamo opporci».

Ultimo risultato del partito, non poco eclatante dei dissidenti, è l’esser riusciti qualche giorno fa a far cancellare una marcia di veterani dell’esercito britannico prevista a Derry sui luoghi del Bloody Sunday, la domenica di sangue del 30 gennaio 1972 in cui i parà britannici spararono su una folla di pacifici manifestanti uccidendone 13 – il 14mo morì in seguito per le ferite riportate. I veterani volevano marciare per fare pressioni sul sistema giudiziario britannico che, pur con estremo ritardo, sta ogni tanto dando segnali di giustizia nei confronti delle vittime irlandesi. Saoradh ha fatto appello per una mobilitazione di massa in occasione della prevista marcia, e le autorità hanno deciso di vietare ai soldati di scendere per strada.

IN IRLANDA, dunque, qualcosa continua a muoversi, ma braci continuano a covare sotto le ceneri di una pace apparente, e gli scenari e gli equilibri rischiano di cambiare da un momento all’altro per l’esistenza di numerosissime variabili, politiche, economiche, e sociali. Che le elezioni di domani, o le imminenti negoziazioni del Brexit riguardanti lo status dell’Irlanda del Nord, possano farci comprendere quale direzione verrà intrapresa, rimane un rebus che solo la storia potrà svelare.