Quarantacinquemila. Questo numero spaventa l’Autorità Nazionale (Anp) e la popolazione palestinese. Corrisponde ai lavoratori che rientreranno in Cisgiordania per la Pasqua ebraica (8-15 aprile) quando in Israele e negli insediamenti coloniali saranno sospese le attività produttive in cui sono impiegati. In prevalenza lavorano nell’edilizia, settore solo sfiorato dai provvedimenti restrittivi varati dal governo Netanyahu per contenere il diffondersi del coronavirus che in Israele ha fatto registrare circa 7500 casi positivi e 41 decessi. Si rischia perciò un massiccio «contagio di ritorno» in Cisgiordania dove ad oggi i test risultati positivi sono 205 (12 a Gaza).

«In Israele i casi accertati sono migliaia e la diffusione del virus è ampia. Perciò è alta la probabilità che ci siano numerosi contagiati e asintomatici tra i nostri lavoratori», avverte il dottor Ali Abed Rabbo, direttore generale della medicina preventiva al ministero della sanità palestinese, ricordando che la disponibilità di terapie intensive in Cisgiordania è insufficiente a coprire un numero elevato di malati gravi da Covid-19.

Quasi tutti i contagi accertati nell’ultima settimana nei territori palestinesi si riferiscono ad operai impiegati in Israele. In un allevamento di polli nella zona industriale di Atarot, a nord di Gerusalemme, 41 dei 500 lavoratori palestinesi sono risultati positivi ai test. In un altro allevamento, a Lod, vicino Tel Aviv, sono risultati positivi 11 palestinesi. Per questo il premier dell’Anp, Mohammed Shtayyeh, è stato categorico: i manovali dovranno entrare in una quarantena di 14 giorni al loro ritorno in Cisgiordania. «È obbligatorio e non facoltativo», ha ammonito. Shtayyeh chiede che Israele sottoponga a test tutti i manovali palestinesi in modo che il sistema sanitario dell’Anp possa gestire al meglio i casi positivi e le quarantene precauzionali. Sul tavolo però c’è un numero elevato di lavoratori e da Israele non è giunto alcuna disponibilità ad accogliere la richiesta. Da parte sua il presidente dell’Anp Abu Mazen ha esteso lo stato di emergenza per altri 30 giorni.

Gerusalemme. Poliziotti israeliani alla Porta di Damasco (foto di Michele Giorgio)

Il coronavirus tiene alta la tensione tra il governo Netanyahu e i palestinesi. L’Olp ha accusato Israele di sabotare gli sforzi dei palestinesi contro la pandemia. «Invece di impedirci di fornire l’assistenza sanitaria necessaria per combattere il virus agli abitanti palestinesi di Gerusalemme, Israele deve onorare i propri obblighi nei confronti della popolazione sotto occupazione», ha protestato Hanan Ashrawi, del comitato esecutivo dell’Olp, accusando Israele di non eseguire test sui palestinesi della città santa.

A metà settimana la Reuters aveva riferito che Israele collega indirettamente l’assistenza medica a Gaza contro il coronavirus con la restituzione dei resti di due soldati caduti in combattimento. «Nel momento in cui si parla del mondo umanitario a Gaza, anche Israele ha bisogni umanitari, che sono principalmente il recupero dei caduti», ha detto, secondo l’agenzia di stampa, il ​​ministro della difesa Naftali Bennett. Immediata la replica del movimento islamico Hamas. «Se i nostri malati di coronavirus non potranno respirare – ha avvertito Yahya Sinwar, il leader di Hamas a Gaza – faremmo in modo che anche sei milioni di israeliani non possano respirare».