Una bandiera di carta tra le mani, dei fiori lanciati ai soldati di ritorno dal fronte in mezzo a una folla festante che celebrava la liberazione. Era nato in un giorno di guerra Radoslav, ma il suo primo ricordo era quello di uno spiraglio di pace destinato a spezzarsi pochi anni dopo.
Una vita di alterne fortune gli aveva riservato il destino: l’abbandono della madre, l’alcolismo del padre, un lavoro saltuario da tipografo, l’incubo della guerra piombato all’improvviso dai cieli di Belgrado. Era il 6 aprile 1941 e il bombardamento dell’aviazione tedesca sulla capitale serba fu uno dei più grandi che la storia potesse ricordare. «Alzati, la radio ha detto che è cominciata la guerra» le urlò sua moglie, Nada, una delle parentesi di felicità che la vita gli aveva concesso. «Ricorderò il 6 aprile 1941 finché vivrò» aveva annotato Radoslav sul suo quaderno. Seguirono la fame e la fuga, la morte e i corpi mutilati, gli arresti e la lotta contro l’occupazione nazista.
Non sappiamo se la guerra di Radoslav conoscerà un lieto fine, quali orrori e quali gioie abbia vissuto ancora, il suo diario si interrompe, a metà frase, nel 1944. Sappiamo, invece, che quel passato è saltato fuori da «quegli scrigni che chiamiamo mercati delle pulci» e ha incrociato il presente di Aleksandar Zograf, nom de plume di Saša Rakezic, fumettista noto al grande pubblico italiano con le sue storie e le sue Lettere dalla Serbia.

Quasi un segno del destino per Zograf che nella sua nuova pubblicazione Il quaderno di Radoslav e altre storie della II guerra mondiale (ed. 001 Edizioni, in collaborazione con Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e Confluenze, pp. 160, euro 19) parte dalla traccia lasciata dal tipografo per arricchirla con altri pezzi di vita, di arte, di quotidianità, di un passato che, racconta il fumettista al manifesto, «si riflette nel nostro presente, in Europa e specialmente qui, a Pancevo, dove gli avvenimenti della seconda guerra mondiale furono traumatici».

COME UN SOMMOZZATORE alla ricerca di tesori nascosti negli abissi, così Zograf si è lanciato a capofitto negli archivi e nei mercatini delle pulci, ha raccolto testimonianze scritte e orali, ha scrutato tra le pellicole e i giornali dell’epoca. Il risultato è un insieme di racconti che come fili si intrecciano a comporre la trama complessa della Storia.
Con i fumetti di Zograf rivivono le lettere di un’infermiera ebrea di origini austriache, Hilda Dajc, spedite dal campo di concentramento di Staro Sajmište di Belgrado, dove andò a lavorare come volontaria per poi perdere la vita. E ancora le pagine del taccuino di Bor, risorto dal fango di una fosse comune, opera del poeta modernista ungherese, Milos Radnoti. E le stravaganze di Zaga Malivuk, partigiana, ricordata per aver organizzato un ballo in maschera nel campo di concentramento di Banjica per sollevare il morale degli altri prigionieri dalla disperazione generale.

Tracce, abissi, poeti sono i punti cardinali della bussola nel viaggio di Zograf alla scoperta del passato. Il quarto dei punti cardinali, non nominato e non illustrato, è la storia dei nonni materni, Petar e Spasenija Pavkov, partigiani all’epoca della resistenza, dissidenti politici all’epoca della Jugoslavia del maresciallo Tito. L’orizzonte di riferimento del vignettista è Pancevo, una cittadina a pochi chilometri da Belgrado, «qualche cupo capannone industriale, qualche casa e una pianura infinita delimitata dalle paludi», capace però di racchiudere un mondo. «Allo scoppio della guerra – ricorda Zograf – Pancevo era abitata per metà da serbi e per metà da tedeschi, i volksdetuschen, erano arrivati qui ai tempi degli Asburgo, nel diciottesimo secolo. E se negli anni Trenta del Novecento, i residenti di origine tedesca si mostrarono distanti dall’ideologia nazista, dopo l’occupazione, molti di loro aderirono al Terzo Reich».

UNO DEGLI EPISODI più tragici di cui fu teatro Pancevo all’inizio dell’occupazione nazista fu la strage del cimitero ortodosso, raccontata dal regista di guerra tedesco Gottfried Kessel e dalle fotografie di guerra di Gerhard Gronefeld, fotografo ufficiale di Hitler e del partito nazista tedesco. Un massacro in cui furono impiccati e fucilati 36 civili su un centinaio presi a caso come rappresaglia per l’uccisione di nove volksdetuschen che avevano tentato di imprigionare i membri dell’armata jugoslava in ritirata. «Eppure, scherza Zograf, devo la mia vita ad un tedesco». Alla fine dell’estate del 1944 venne scoperta la taverna in cui i nonni del vignettista nascondevano i membri del movimento clandestino di Resistenza, così come le pubblicazioni antifasciste, il cibo, le medicine e le armi che da lì venivano distribuiti alle unità partigiane.
SE I DUE riuscirono a scampare al campo di concentramento fu grazie all’intervento di un poliziotto volksdeutsche, un loro conoscente che abitava nelle vicinanze della taverna. Il poliziotto riuscì a convincere i colleghi che il nascondiglio era stato costruito a loro insaputa e che Petar e Spasenija non potevano essere a conoscenza di quanto avveniva al proprio interno.
E così mettere la lente d’ingrandimento sulla Storia per Zograf non è un feticcio individualista, né un mezzo per equiparare vittime e carnefici, ma un modo per indagare le tante sfumature che rendono complessa la lettura degli eventi. Un metodo a cui Zograf ci ha fortunatamente abituato già nelle precedenti opere, quando è riuscito con grande profondità a restituire la dimensione di un conflitto, quello degli anni Novanta, vissuto in prima persona, facendo emergere ambiguità e contraddizioni.

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SCHEDA. A Milano e Torino

Dopo la tappa veneziana di ieri (con Alessandra Briganti e Marco Abram, che ha scritto la prefazione) oggi Zograf è a Milano (Ostello Bello, ore 18) con Christian Elia e Disma Pestalozza. Domani a Torino (Circolo dei lettori, ore 21:30) con Farian Sabahi.