Uno dei grandi temi sui quali il maestro della Scuola di Francoforte Theodor W. Adorno non ha mai cessato di riflettere nel secondo dopoguerra riguarda la domanda se, e in che misura, le spinte sociali e le ideologie che si erano coagulate nel nazismo costituissero ancora un pericolo, non solo per la Germania ma, più in generale, per le democrazie occidentali. A questo nodo è dedicata la conferenza sugli Aspetti del nuovo radicalismo di destra (traduzione di Silvia Rodeschini, postfazione di Volker Weiss, Marsilio, pp. 96, € 15,00) che Adorno tenne il 6 aprile 1967 all’Università di Vienna, su invito della Associazione degli studenti socialisti austriaci. Il testo, rimasto inedito, è stato pubblicato in Germania solo nell’estate del 2019, per il cinquantenario della morte del filosofo, suscitando un grande interesse del pubblico e della stampa: l’analisi dedicata alla rinascita delle nuove destre nella Repubblica Federale Tedesca è parsa contenere, infatti, elementi utili a comprendere l’ascesa del nuovo populismo di destra e in particolare del partito Alternative für Deutschland.

Fascismi mai superati
Il contesto nel quale Adorno presentava le sue considerazioni era, ovviamente, molto diverso da quello odierno. L’allarme era suscitato dalla fondazione e dalle buone affermazioni elettorali ottenute dal partito neonazista denominato Npd (Partito Nazionaldemocratico Tedesco) che, nato nel 1964, stava riscuotendo un discreto successo in alcune elezioni regionali, anche se non avrebbe poi superato la soglia del 5% necessaria per entrare nel Parlamento federale. Nel 1967, inoltre, si stava già sviluppando un forte movimento studentesco (non per niente Adorno è invitato dagli studenti); un movimento al quale nelle primissime fasi il filosofo francofortese guardava con simpatia, anche se presto sarebbe arrivata la completa rottura.

In questa conferenza, come in altri interventi importanti che dedica al medesimo tema (lui stesso fa riferimento al più rifinito testo del 1959 Che cosa significa elaborazione del passato, tradotto in italiano nella raccolta Contro l’antisemitismo, Manifestolibri 2007), la principale tesi che Adorno sostiene è molto chiara: anche nelle contemporanee società democratiche e del benessere, le ideologie e le politiche del radicalismo di destra possono prosperare e costituire un pericolo concreto, perché le premesse e le condizioni sociali che avevano generato i fascismi non sono state realmente superate. Ovviamente, le circostanze storiche sono diversissime, come Adorno non manca di sottolineare, ma – spiega con ragionamenti schiettamente marxisti – i presupposti economici che hanno scatenato il risentimento sociale e l’antisemitismo tra le due guerre, e sospinto l’ascesa dei partiti autoritari, continuano a sussistere.

Oggi come ieri, infatti, la «tendenza del capitale alla concentrazione» mette in difficoltà o spazza via strati sociali un tempo agiatamente borghesi (dalle professioni, alla piccola impresa, al commercio) che ora vedono profilarsi concretamente nel loro orizzonte la minaccia del declassamento e la perdita delle sicurezze. La paura dell’impoverimento che colpisce le classi medie è acuita, sostiene Adorno, dall’avanzare di quella che chiama, come si usava negli anni Sessanta, la «disoccupazione tecnologica», tema drammatico già allora. Il punto importante anche per comprendere la situazione odierna, è che la esposizione all’incertezza delle crisi e del mercato capitalistico (oggi molto più mondializzato) suscita come contraccolpo un bisogno di protezione e di rassicurazione, che trova espressione, per esempio, nella ripresa delle pulsioni identitarie e delle ideologie nazionalistiche.

Anche a questo proposito, la tesi di Adorno è molto precisa: già all’epoca in cui scrive (cioè quella del mondo diviso in due blocchi) e a maggior ragione oggi, le singole nazioni giocano un ruolo subordinato e «nessuno ci crede più davvero». «Ma non bisogna trarne la conseguenza affrettata che il nazionalismo, in quanto superato, non giochi più un ruolo chiave; viceversa, accade spesso che alcune convinzioni o ideologie assumano un aspetto demoniaco o autenticamente distruttivo proprio quando non risultano più sostanziali in base alla situazione oggettiva».

Democrazia allo stato formale
L’altro asse di riflessione sul quale Adorno insiste è anch’esso molto rilevante per la comprensione dell’oggi: il risentimento radicale di destra, con le sue componenti antidemocratiche e antipolitiche, è il frutto delle delusioni della democrazia, cioè dei suoi fallimenti nel mantenere le promesse che il suo nome evoca. La democrazia fino a oggi, sostiene Adorno, non «si è concretizzata in modo effettivo e completo dal punto di vista economico-sociale, ma è rimasta sul piano formale. E, in questo senso, i movimenti fascisti potrebbero essere indicati come le piaghe, le cicatrici di una democrazia che non è ancora pienamente all’altezza del proprio concetto». Mi sembra una considerazione che, a distanza di cinquant’anni, non ha perso nulla della sua validità.