Se oggi in Spagna esiste Unidas Podemos lo si deve anche a lui. Julio Anguita, morto ieri per un’insufficienza cardiorespiratoria, negli ultimi anni della sua vita spese la propria autorevolezza per favorire l’incontro fra il movimento di Pablo Iglesias e la Izquierda Unida (Iu) di Alberto Garzón, della quale fu carismatico leader dal 1989 al 2000.

Andaluso, nato nel ‘41, insegnante convinto che «prima di socializzare la proprietà bisogna socializzare la conoscenza», entrò nel Pce clandestino nel ‘72, diventando sette anni dopo sindaco di Cordoba. Fu il primo comunista a dirigere il municipio di un capoluogo nella nuova era post-franchista, riuscendovi con un successo tale da rendere per un trentennio la città della Mezquita bastione inespugnabile della sinistra. Anguita, in realtà, restò sindaco solo per sette anni, la sua popolarità lo spinse sul palcoscenico nazionale.

Divenne segretario del Pce e leader di Iu mentre a Berlino cadeva il Muro, evento che non innescò nei comunisti spagnoli il processo di dissoluzione che in Italia fece nascere il Pds. Al contrario. Iu crebbe sino al massimo storico del 10,5% alle politiche del ‘96, la fine del lungo governo socialista di Felipe González, del quale Anguita denunciò con forza la deriva neoliberale. Il González degli anni Novanta fu infatti una sorta di precursore della «terza via» di Tony Blair, e Anguita fu fermissimo nel rifiutare alleanze «contro la destra» che non si basassero sui contenuti. Una posizione che gli costò l’accusa di intelligenza con il nemico, il Pp di José Maria Aznar, e che portò alla rottura con l’ala moderata di Iu, confluita poi nel Psoe. In quella fase fu lungimirante critico del Trattato di Maastricht, del quale colse il carattere regressivo per i Paesi periferici della Comunità europea.

A fine anni Novanta l’abbandono di tutti gli incarichi non per libera scelta o per difficoltà politiche, ma per un cuore che era tornato a dare pericolosi segnali di cedimento. Priva del suo carisma, Iu cominciò un lento declino da cui parzialmente si risollevò nel 2011, l’anno degli indignados alla Puerta del Sol di Madrid. Un decennio nel quale la voce di Anguita, tornato a fare l’insegnante a Cordoba, non smise di farsi sentire, trovando ascolto, fra gli altri, nei giovani Iglesias e Garzón. Di entrambi diventa un consigliere, con la discrezione del politico di razza e l’efficacia del bravo docente, non facendo mancare il suo appoggio alla scelta di formare il governo di coalizione con Pedro Sánchez.

In un’intervista rivelò di non temere la morte da quando soffrì il dolore della scomparsa del figlio trentaduenne, reporter di guerra in Iraq, colpito da un missile che uccise un altro collega e due soldati. Quel 7 aprile 2003 la notizia della tragedia raggiunse Anguita mentre si apprestava a intervenire in un dibattito. Prese la parola lo stesso, poche frasi per giustificare l’impossibilità di rimanere lì. E per ribadire: «Siano maledette le guerre e le canaglie che le fanno».

Leggi il ricordo di Stefano Albertini Mussini