Per Giovanni Tria la flat tax e il reddito di cittadinanza possono attendere. Invece il ministro dell’economia apre a una riduzione dell’Irpef: “Sono molto favorevole a partire con un accorpamento e una riduzione delle aliquote per i redditi familiari”. Quindi “bisogna trovare spazi per partire, compatibilmente con i vincoli di bilancio. L’operazione dovrà essere graduale”. Cartoline dalla Summer School di Confartigianato, dove l’erede di Piercarlo Padoan va avanti nella sua missione quasi impossibile di rassicurare i mercati finanziari e l’Ue, senza scontentare troppo gli azionisti di maggioranza del governo, in cui è entrato in “quota Quirinale”.
Per il momento l’obiettivo sembra essere centrato, visto che lo spread resta fermo sui 250 punti e l’Europa sembra accettare l’ipotesi di una riduzione del debito limitata allo 0,1%, ben inferiore al Def di aprile che fissava il debito 2018 al 130,8% del Pil, in calo di un intero punto percentuale dal 131,8% del 2017. Quanto ai rapporti con M5S e Lega, la dichiarazione programmatica fatta sabato scorso da Tria a Cernobbio (“Faremo il possibile con i mezzi che abbiamo già a disposizione e all’interno dei vincoli europei. Per l’impossibile ci stiamo ancora attrezzando. E comunque abbiamo davanti un’intera legislatura”) ha avuto, sul momento, il via libera sia di Salvini che di Di Maio.
Di qui l’anticipazione del ministro che nella legge di bilancio, da presentare entro metà ottobre, fosse per lui (“poi sono scelte politiche”) potrebbe entrare una revisione delle aliquote Irpef più ampia rispetto all’ipotesi, già circolata, di ritoccare solo la più bassa, tagliandola dal 23 al 22%. La mossa, oggettivamente assai popolare, nasce dalla premessa che “oggi c’è una complessità di aliquote, di aliquote alte, e una massa di tax expenditures (detrazioni e deduzioni, ndr). Così non si capisce mai chi vince e chi perde”.
Al tempo stesso, l’approdo alla flat tax “è un processo complesso e richiede tempo, perché va finanziata con le tax expenditures”. Così il piano leghista di partire almeno con l‘ampliamento del regime dei minimi, applicando l’aliquota del 15% fino a 65mila euro, e del 20% sui redditi aggiuntivi fino a 100mila euro, potrebbe essere messo per il momento in frigorifero. Sacrificato dall’abbassamento più consistente dell’Irpef.
Quanto al reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei pentastellati, Tria si limita a dire che “il problema è come lo si disegna” e bisogna “valutare qual è il costo addizionale”. Conclusioni: “Si tratta di disegnarlo in modo che abbia effetti positivi. Il reddito di cittadinanza aiuta la crescita se è disegnato bene, bisogna strutturarlo in modo da non creare disincentivi”.
Il ministro dell’economia, in ogni caso, lancia un segnale ben preciso ai contribuenti: “Ci sarà la pace fiscale” (leggi condono, assai caro alla Lega), come effetto della riforma fiscale “e della riduzione della pressione fiscale – ripete Tria – che sarà strutturale”. In parallelo ammonisce il suo governo a non esagerare con le promesse, prendendo spunto dal ruolo di Cassa depositi e prestiti: “Si tratta di un soggetto partecipato dal Mef ma privato – puntualizza – e la sua azione deve essere correlata al calcolo economico. Altrimenti rientrerebbe nella amministrazione pubblica e ci sarebbe un salto nel rapporto debito/pil che non voglio neppure pensare. Bisogna stare attenti a come si usa questo strumento. È in un certo senso il nostro fondo sovrano, ma staccato dalla pubblica amministrazione. Non so se debba diventare una nuova Iri, ma non deve essere una nuova Gepi, con interventi in imprese più o meno decotte”.
C’è spazio anche per un inciso su due grandi opere, la Tav e la Tap, su cui i maggiorenti del governo hanno idee opposte. Sul punto Tria dice la sua: “Spero che si facciano, si tratta di grandi collegamenti internazionali”. Infine ecco la morale del ministro: “Si può costruire una strategia economica coerente, anche se partita da una campagna elettorale non del tutto coerente”. Comunque sia, ancor prima delle legge di bilancio, quando il 27 settembre arriverà la nota di aggiornamento al Def, le tante parole del governo lasceranno posto ai fatti.