Le imprese recuperate in Argentina continuano a crescere. I dati dell’ultimo censimento del Centro di documentazione dell’Università di Buenos Aires confermano che il fenomeno, nato come risposta alla crisi che nel 2001 ha causato la chiusura di migliaia di fabbriche, oggi in un contesto economico più consolidato e solido, si ripropone con diverse modalità. Il recupero si è trasformato in uno strumento di lotta, se l’azienda ha problemi di gestione non sono necessariamente gli operai a dover pagare. Anzi, secondo le nuove normative, i primi creditori che dovrà risarcire un imprenditore fallimentare, sono i debiti nei confronti dei lavoratori. Il recupero di una unità economica è definito dal passaggio da un’amministrazione privata alla gestione collettiva per mano agli antichi salariati e avviene prevalentemente attraverso cooperative di lavoro.

IV Rilevamento

L’ultimo studio del caso ha registrato in totale la presenza di 311 imprese autogestite di cui 63 aggiunte nel periodo del 2010-2013 che riguarda il IV Rilevamento. L’indagine mette in evidenza da una parte l’espansione e consolidamento dell’esperienza, dall’altra un incremento delle difficoltà nel riconoscimento e regolarizzazione dell’attività. Solo in pochi casi, però, le difficoltà provocano la chiusura della fabbrica. L’indice di «mortalità imprenditoriale» continua a essere molto basso. Delle 247 imprese registrate fino al 2010 solo 6 hanno chiuso, la via dell’autogestione si conferma per i lavoratori argentini, una alternativa valida per preservare il lavoro e sviluppare nuove forme di economia che non mettano al primo posto il capitale. Gli ostacoli oggi sono nel processo di conversione di ogni occupazione che, come dicono gli operai, deve passare «da legittima a legale».

Cambia la fabbrica recuperata, si registra una notevole diversificazione nei settori, da un fenomeno prevalentemente industriale che ancora rappresenta un 50,4%, ad un insieme di attività che si distribuiscono tra produzione e servizi: gastronomici, salute, educazione, commercio, trasporto. Cambiano i settori ma non cambia il contesto, le imprese che intraprendono questo percorso devono convivere all’interno di un sistema capitalista che pensa solo alla logica del profitto. È qui che diventa utile la federazione e cooperazione tra le diverse realtà e il rapporto con l’università pubblica, come riflessione sui processi in corso.
Non si tratta solo del recupero del posto di lavoro, il compito è quello di essere padroni di se stessi. Si recupera una attività economica ma anche uno spazio comunitario costruito attraverso un collegamento costante con la società.

Il progetto delle imprese recuperate insegue da sempre l’utopia di un’altra concezione del lavoro.
L’autogestione dell’attività rivela tre caratteristiche: 1) la democratizzazione del lavoro, uguale tempo di lavoro e retribuzione; 2) l’organizzazione politica della gestione: assemblee e costituzione degli organi interni; e 3) i cambiamenti che ogni attività riesce a generare da un punto di vista economico.

Aperti al territorio

La sede del programma Facultad Abierta dell’Università di Buenos Aires si trova nella tipografia recuperata Chilavert, nel. http://www.imprentachilavert.com.ar/ Siamo tornati dopo 10 anni al quartiere di Pompeya dove la Chilavert continua la sua esperienza di autogestione, ora con l’aggiunta di un centro culturale con laboratori, corsi e workshop aperti al territorio. Si produce così un incontro tra attività economica e società. In Argentina, oltre alla didattica e la ricerca, l’università pubblica ha come compito l’ “extensión”, cioè, la missione di espandersi sul territorio. L’obiettivo è quello di rompere l’isolamento dell’accademia attraverso specifiche attività nel quartiere o altre aree periferiche. Dal 2002 il programma Facultad Abierta, svolge una serie sistematica di rilevamenti a livello nazionale sulle imprese recuperate per capire la dimensione e le diverse particolarità del fenomeno. Anche se con molte difficoltà e limiti le indagini consentono di seguire con continuità il percorso di queste esperienze, è così che si arriva alla quarta rilevazione delle imprese recuperate. Il Centro di documentazione, creato nel 2006, si occupa di registrare e mettere in circolo le diverse esperienze che, un volta sistemate, restano a disposizione dei lavoratori, dei ricercatori e della società.
Oltre alle attività del programma della Facultad Abierta alla Chilavert funziona un Bachillerato popular che si svolge nelle ore serali quando si ferma il rombo delle macchine della tipografia. L’obiettivo del Liceo è quello di ricostruire il rapporto tra capitale e lavoro promovendo un’educazione inclusiva che contribuisca a trasformare la realtà sulle orme di Paulo Freire. La scuola come organizzazione sociale in grado di questionare il sapere costituito e generare nuove conoscenze. Educare alla liberazione significa qui un processo informale che può anche raggiungere risultati formali con l’ottenimento di titoli riconosciuti dalle istituzioni. Il titolo secondario è per molti anche una esperienza di recupero, per completare il Liceo abbandonato o mai iniziato.

L’antropologa Natalia Polti, una delle coordinatrici del programma, ci racconta con grande entusiasmo la ricchezza di questa esperienza. «Il nostro obiettivo – ci dice – è includere gli esclusi, promuovere la democrazia in classe, stabilendo le proprie regole». Ci racconta di gruppi non omogenei per età, cultura, nazionalità e perfino scopi: «Si va da chi da sempre voleva finire il Liceo a chi lo fa per avere la possibilità di accedere ad una mansione più qualificata».
Nel bachillerato vengono incluse materie come il cooperativismo, per ricreare, a partire dall’esperienza delle imprese recuperate, un diverso rapporto con il lavoro. Dopo anni di lotta i docenti di queste scuole sono riusciti nel 2011 ad ottenere oltre i titoli ufficiali, borse di studio e salari (veramente modesti) per gli educatori. In ogni modo è un riconoscimento per le 30 scuole di questo tipo che funzionano a Buenos Aires e dintorni.

La storia si ripete

La crisi europea, l’incremento della disoccupazione, il fallimento delle imprese, l’effetto domino che contagia tutta l’attività produttiva e il culto alla stabilità monetaria rappresentano alcuni degli elementi che accomunano l’esperienza vissuta in Argentina e finita nel default del 2001 a quella che viviamo oggi sotto il dispotismo dell’euro. La capacità di produzione dell’imprenta recuperata Chilavert è cresciuta negli anni e sono anche aumentati i soci lavoratori. La cooperativa ha deciso alla fine del 2013 di inviare uno di loro in Spagna per acquistare apparecchiature. Martin Cossarini è arrivato a Madrid dove ha trovato i macchinari che cercava. L’impresa San Fernando de Henares aveva in vendita ciò che la Chilavert stava cercando ed il prezzo era ragionevole. Affare fatto. Il giorno dopo Cossarini tornò in fabbrica per ringraziare l’operaio che gli aveva insegnato il funzionamento dei macchinari portandogli una bottiglia di vino, ma questo gli disse che era stato licenziato e che la tipografia sarebbe stata chiusa. Ernesto Gonzalez, storico dirigente della Chilavert, ci racconta che Cossarini telefonava in continuazione da Madrid chiedendo consiglio. Cosa fare? Raccontare la loro esperienza, dirgli che anche loro potevano recuperare l’attività o non dire niente e tornare a casa con il nuovo acquisto? I compagni della Chilavert hanno deciso di socializzare la loro esperienza con gli operai spagnoli che stavano perdendo il lavoro. Cossarini portò alla tipografia spagnola un libro sul recupero delle fabbriche in Argentina. Alla fine il consiglio fu disatteso. Gli operai spagnoli sostenevano che con l’indennizzo avrebbero potuto aprire un’attività. Forse non si rendevano conto che è in atto un processo globale che circoscrive e poi lentamente corrode lo spazio del lavoro.

Il processo in Argentina è stato diverso, forse la situazione generale di migliaia di operai che si sono trovati per strada con le fabbriche chiuse è stata determinante. Non c’era scelta: occupare, resistere e tornare a produrre. Per molti lavoratori argentini la lotta ha dato i suoi frutti. L’esperienza delle imprese recuperate ribadisce che il lavoro va difeso e che l’autogestione è possibile.