Il pavimento è morbido, l’aria profuma di gomma e disinfettante «allora è sicuro, finalmente lunedì potremo riaprire anche la palestra qui ad Atene!» esclama Estelle, sul volto di Ali si allarga un sorriso «bene! Allora bisogna sbrigarci, deve essere tutto pronto». Inventari, registrazioni, tessere, c’è bisogno di nuovi armadi – Fate conto che sia già fatto – sembrano dire gli occhi vivaci di Ali, mentre insieme definiscono i dettagli.

È la riunione di coordinamento di Yoga and Sports With Refugees. La ONG organizza attività sportive con i rifugiati, il progetto è nato sull’isola di Lesbo ad inizio 2018, ed è attivo dal settembre 2020 anche ad Atene. Ali, Sohaila e Aref, rifugiati di origine afghana, hanno la responsabilità delle attività nella capitale. Nina ha 26 anni, è olandese, arrivata come allenatrice di corsa, ora dirige l’associazione assieme ad Estelle, la fondatrice, che ha 29 anni ed è nata in Francia. Le due giovani seguono le attività a Lesbo, e vengono ad Atene solo per gli incontri periodici di coordinamento. In questi anni gli allenamenti gratuiti per più di venticinque diverse discipline hanno coinvolto migliaia delle persone che sono arrivate in Europa per cercare una vita migliore attraverso la rotta di Lesbo. I viali del grande parco dedicato ad Ares sono pieni di gente.

Qui, all’aperto, anche durante le restrizioni sono continuati gli allenamenti di kick boxing, di yoga, taekwondo, parkour, kung fu, zumba. Ogni pomeriggio Hamid riunisce una trentina di ragazze e ragazzi. Come allenatore è duro e rigoroso, ma trasmette un’enorme energia. Ha 27 anni, ha origini afghane ma è nato e cresciuto in Iran, dove a 10 anni ha iniziato a fare kick boxing, da allora non ha più smesso di lottare e ha partecipato a competizioni internazionali. «Anche nelle difficoltà di questi ultimi due anni ho sempre continuato ad allenarmi e ad insegnare. Tra Lesbo e Atene abbiamo creato una squadra: il Team Energy. Sono venuto in Europa per combattere a livello professionista. Lo sport – aggiunge Hamid – è la mia vita».

Tra le ragazze che si dedicano più a fondo agli allenamenti di Hamid c’è Sohaila, ha solo 16 anni. È coordinatrice della comunicazione sui social, allenatrice di fitness femminile e di karate, che ha iniziato a praticare a 9 anni in Pakistan. La sua passione è il Muay Thai, sta lavorando duro per partecipare a degli incontri ufficiali e «appena potrò – dice – andrò in Tahilandia». Ma è già una lottatrice. Dopo aver tentato otto volte di passare il confine tra Turchia e Grecia, è sbarcata a Lesbo nel 2019 con la madre e la sorella.

Grazie al sostegno economico che le corrisponde Yoga and Sports per le attività che svolge, Sohaila riesce a pagarsi una stanza ad Atene. La sua famiglia nell’attesa di avere nuovi documenti è costretta a vivere nel campo di Malakasa, isolato a 40 km dalla città. Sohaila va spesso a trovarli, in treno è quasi un’ora di viaggio. Adesso il governo greco, qui e negli altri campi profughi, sta pure costruendo un alto muro in cemento lungo il perimetro del campo. «È una situazione terribile» dice la madre di Sohaila mentre versa l’acqua nel bollitore, preparando il tè per gli ospiti. La loro tenda è montata dentro quella che prima era la palestra del campo, ora ci sono decine e decine di tende, non c’è più spazio.

In un angolo remoto del parco si tengono gli allenamenti di Kung Fu di Eshan. Tra gli allievi c’è Aresh, afghano di 17 anni, di cui 5 passati in Grecia aspettando di poter raggiungere il resto della famiglia in Germania. «Quando ho del tempo libero faccio Kung Fu, Eshan è un grande insegnante e soprattutto un grande amico» Aresh intanto si sistema i bendaggi alle mani e indossa i guantoni gialli «non esistono i rifugiati e le altre persone, siamo tutti la stessa gente» dice stringendo la chiusura del guantone sinistro. È il suo turno per lo sparring con l’allenatore, e al centro del piazzale schiva e colpisce con tutte le sue forze.

Sono tutti attaccati allo schermo per seguire da Lesbo gli incontri di Muay Thai di Majid e Hamid per il Gran Prix di Atene. La pasta e le verdure al forno sono servite tra un incontro e l’altro, la tensione è alta. I due danno il massimo ma entrambi perdono gli incontri. Nello sconforto generale Nasruallah prova a risollevare il morale «è la lotta, si vince o si perde, vinceremo la prossima volta» Mahdi fa partire un forte applauso. È il Team Energy, si allenano tutti i giorni sotto la guida carismatica di Mahdi, che ha 26 anni.

Anche fuori dagli allenamenti passano molto tempo insieme. Ora che è estate nel tardo pomeriggio vanno al mare. L’acqua è cristallina e sulla banchina i ragazzi scherzano, ridono e fanno gare di tuffi, anche se molti non sanno nuotare. Il rapporto con il mare è tormentato. Si arriva su quest’isola nella notte, con imbarcazioni di fortuna, con la minaccia continua dei violenti respingimenti dei pattugliatori della marina greca e di Frontex. Anche la Guardia Costiera italiana pattuglia queste acque. Gli 8,9 km che separano la Turchia da Skala Sikamineas nel nord dell’isola possono essere lunghi come una vita. Il mare inoltre delimita in parte l’unico campo profughi attivo in questo momento a Lesbo, Mavrovouni, noto come Moria 2 per le condizioni disumane in cui vi vivono le persone. Su quel lato non c’è filo spinato, c’è solo il mare e la Turchia, da cui sono venuti tutti quelli che abitano nel campo, bloccati sul bordo dell’abisso.

Vicino al campo, in una stradina tra altri capannoni, si trova la palestra di Yoga and Sports. «Spesso bisogna insistere per poter uscire dal campo, poi nel centro di Mitilene la polizia non fa che controllarti. Così alcuni restano sempre nella tenda, si muovono solo per i pasti, molti non escono quasi mai dal campo» Nabiullah passa intere giornate alla palestra, è volontario da alcune settimane e spiega come sia importante incontrare altre persone «per non diventare pazzi». Ama l’arrampicata, ogni tanto tira di boxe e va a correre con gli altri, intanto tiene in ordine la palestra. «Abbiamo scelto di non lavorare nel campo, fare attività all’esterno permette alle persone di uscire dal campo e dalle sue dinamiche» spiega Nina. «All’inizio avevamo solo una tenda – racconta Estelle – poi abbiamo trovato questo magazzino, i muri erano completamente anneriti dal fumo, abbiamo lavorato duro per trasformarlo in una palestra».

La mattina alle 8:30 la palestra è già aperta. Aziz, 24 anni, originario del Congo, è il coach di bodybuilding. Anziani afghani con giovani congolesi si danno il cambio ai bilancieri, sulle panche, ai macchinari. Ciascuno segue il proprio programma di esercizi. Aziz con calma osserva la sala, dà consigli, controlla che tutto vada bene.

 La lezioni di Yoga si svolgono a fine giornata e sono aperte a tutti. «In Afghanistan non è diffuso lo yoga – spiega Zakhi – quando sono arrivato al campo e stavo male, avevo perso ogni interesse e la voglia di fare qualsiasi cosa, poi andai ad una lezione, e ritrovai me stesso e la serenità. Per questo insegno yoga, perché penso possa fare bene a tutti, soprattutto qui».

Ogni giorno il team di corsa affronta percorsi diversi. Attraverso le montagne e i villaggi, vicino al vecchio campo di Moria e sul mare, per tornare poi sempre alla palestra. Coperte dal profilo della collina, le tende del campo non si vedono più.

La corsa si fa più dura sulle pietre della salita, sotto il sole che cuoce la terra, nell’aria secca carica dei profumi della macchia. Ma qui si corre in gruppo e nessuno rimane indietro, chi va più veloce torna indietro per incoraggiare chi è affaticato, e correndo insieme si può pensare, ci si può lasciare i problemi alle spalle, ogni obiettivo sembra possibile, anche quello di un mondo senza più confini.