Vista dal lato di Giuseppe Conte, potrebbe essere la mossa finale. Dopo aver sbaragliato tutta la vecchia guardia del Movimento 5 Stelle, fatto fuori il baraccone ideologico prima che tecnologico di Rousseau e Casaleggio, mandato in archivio per sempre il divieto assoluto di alleanze pronunciato da Gianroberto al debutto in parlamento, superato (pare) per sempre lo schema «né di destra né di sinistra», il leader è arrivato allo scontro con Beppe Grillo. Perché di questo si tratta, come confermano i contiani di stretta osservanza: ne resterà soltanto uno.

TRA I DUE non erano mancati i precedenti. Ormai tre anni fa, Il Fondatore aveva dovuto ricevere l’Avvocato a Bibbona davanti a una spigola per siglare la pace. Questa volta, raccontano da via Campo Marzio, si è andato oltre. I due fino a poco tempo fa ciclicamente si sentivano, con Grillo tenuto a bada dal contratto di 300 euro all’anno per la consulenza alla comunicazione del M5S. Quest’ultimo, a quanto risulta, ha interrotto le comunicazioni dopo il risultato deludente elezioni europee, quando ha detto che «Conte ha preso meno voti che Berlusconi da morto». Si è poi fatto risentire qualche giorno fa con la lettera che doveva servire a ribadire il suo ruolo: prima del processo costituente lanciato dopo il flop elettorale, era la richiesta, Conte e un gruppetto di pochi altri avrebbero dovuto definire le priorità con il Garante. Un passaggio a monte del confronto collettivo.

L’EX PREMIER ne ha approfittato per far saltare gli equilibri, e scaricare addosso a Grillo i temi identitari (in passato spesso trasformati in feticci inservibili dalle fumisterie digitali di Casaleggio) della partecipazione e della trasparenza. In questo modo, Conte si è intestato il ruolo di condottiero e di garante della democrazia interna. Difficile che Grillo possa tollerare questa invasione di campo. Il leader sostiene che tutti devono mettersi in discussione e ne approfitta per ricordare (con un tono passivo-aggressivo che deve provenire dalla sua esperienza nei tribunali) che se il M5S è in crisi di consensi ciò è dovuto anche agli errori del passato, come quello (ascrivibile a Grillo) di aver sostenuto Draghi e di aver proposto al decisivo ministero della transizione ecologica il nuclearista Roberto Cingolani. «Purtroppo la genuinità e coerenza del nostro impegno politico è stato offuscato dall’appoggio al governo Draghi – ha sottolineato Conte – che ci ha costretti nella scomoda posizione di dover votare molti provvedimenti che non erano affatto in linea con la richiesta di cambiamento dei nostri elettori». Grillo dice che un M5S che genericamente si richiama alla pace e dalla giustizia sociale (non a caso, i due temi che hanno spinto i neo-eletti in Europa ad entrare nel gruppo di The Left) diventa indistinguibile dalle altre forze politiche. «Oggi le stelle sono diventate un firmamento, che sarà anche bello, ma le cui stelle appaiono indistinguibili l’una dall’altra. Per renderle tali occorre, a mio avviso, tornare alla semplicità e alla chiarezza di un tempo». È quello che sostiene anche il nostalgico Danilo Toninelli, che ieri ha invocato un «ritorno al Partito del Vaffa». La stragrande maggioranza dei parlamentari, e quelli che in questi anni hanno seguito Conte, considerano invece quella fase ampiamente conclusa.

ECCO PERCHÉ Conte tira dritto, anche se difficilmente Grillo si fermerà qui. Giovedì si riunirà il Consiglio nazionale, l’organismo composto da una ventina di persone che oltre ai cinque vicepresidenti è espressione dei parlamentari e dei vari comitati localie tematici, allo scopo di lanciare l’assemblea costituente che si terrà per tre giorni, probabilmente a Roma, a partire dal 4 ottobre. L’idea di Conte è che gli iscritti non dovranno esprimersi su argomenti proposti dai vertici, ma dovranno scegliere loro stesso i temi che considerano decisivi: «Dopo la democrazia diretta si apre la fase della democrazia partecipata», spiegano quelli che stanno lavorando all’evento. Il processo verrà gestito da Avventura Urbana, l’azienda specializzata che già aveva collaborato con i 5 Stelle ai tempi degli Stati generali del 2020, quando Rousseau venne messo di lato per la prima volta. Poco dopo, in verità, arrivo Giuseppe Conte alla presidenza, e tutto cambiò ancora.