La programmazione di ottobre della Casa del Jazz si è chiusa  con il recital del ZY Project, quintetto nato tre anni fa in area capitolina guidato dal trombettista-compositore Angelo Olivieri che conduce una formazione di giovani musicisti.

Parlarne è necessario perché il gruppo con Olivieri, Vincenzo Vicaro (sax tenore), Luigi Di Chiappari (Rhodes ed effetti), Riccardo Di Fiandra (basso elettrico) e Daniele Di Pentima (batteria) rappresenta una concreta e positiva risposta ai timori della fine del jazz o di una sua musealizzazione. La musica del gruppo (fissata nel Cd “Nowhere’s Anthem”, edito dalla rivista Jazzit) ingloba la lezione dei grandi artisti afroamericani e non (si senta la versione iperscandita e straniata dell’ornettiana Lonely Woman come l’omaggio a Kenny Wheeler “Nothern Sky”), utilizza l’elettronica in modo originale e creativo, riprende metri e scansioni non jazzistiche, si ispira – in alcuni brani – a quanto accade nella società, costruisce un’identità sonora non passatista ma contraddittoriamente contemporanea.

All’interno dei brani presentati alla Casa del Jazz – di fronte ad un auditorium pieno – c’è una notevole varietà di impasti timbrici, arrangiamenti, condotta delle parti, uso di metri e ritmi. Si prenda Zy One, uno dei primi pezzi del repertorio quasi tutto scritto da Angelo Olivieri: il lungo tema si dipana nelle sue due sezioni su un’ostinata frase del piano elettrico, a tempo lento.

Tromba e tenore viaggiano all’unisono in una dimensione di tensione e, a tratti, di allucinazione; segue un episodio largamente ed intensamente improvvisato, con una particolare miscela di jazz-rock. L’inno Nowhere’s Anthem – dedicato a coloro che fuggono dalla miseria e dalla fame e spesso scompaiono senza lasciare traccia – mostra una felice unione tra idee ed espressione sonora: si alternano due sezioni, la prima è un dolente inno scandito dal rullante cui segue una seconda, furente, in cui tromba e sassofono improvvisano con foga e rabbia.

C’è, ancora, il toccante ricordo di Jerry Masslo, vittima del razzismo, con la voce di Madya Diabate (ospite della serata insieme al tastierista Gian Paolo Giunta ed alla vocalist Sara Jane Ceccarelli), con la voce narrante che si intreccia ai fiati ed ai ritmi. Zy Project, però, non fa musica “ideologica”: dà spazio e voce ad una dimensione del jazz che si confronta e contamina con linguaggi sperimentali, attuali, “giovanili” (Flashlight. E’ musica aperta, diretta, porosa, plastica, vigile, senza manierismi né autocompiacimenti, per chi la sappia ascoltare.